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Ma come parlano? Le parole sono importanti

In Ticino abbiamo un problema con la comunicazione istituzionale. E non è un problema irrilevante, perché favorisce circospezione, incomprensioni e tensioni.

(TiPress)

Bellinzona, abbiamo un problema: non riusciamo – capita spesso – a decriptare quanto voi, autorità, politiche, di polizia, a volte anche sanitarie volete comunicarci. Eppure ci sforziamo, davvero.

Più di tutti ci ha provato martedì scorso la collega del telegiornale nell’encomiabile e tutto sommato disperato tentativo di vederci chiaro al termine della conferenza stampa sul fatto di sangue avvenuto poco prima in un grande magazzino di Lugano. Terrorismo, sì, no? Indizi, cosa si sa?

La risposta del Comandante della Polizia Cantonale potrebbe entrare negli annali della scrittura automatica, quella in cui un soggetto, spesso in stato di ipnosi, si esprime con parole e frasi che non provengono dal suo stato cosciente. Se il suo intervento fosse stato supportato da una solida sintassi, avremmo potuto perlomeno pensare a un brillante barocco affabulatore. Certo anche la fitta coltre di nebbia che improvvisamente avvolge un paesaggio ha il suo fascino, ma qui l’effetto è stato mestamente più limitato.

La raffica di frasi sconnesse pronunciate da Matteo Cocchi ha sortito un solo effetto: il disorientamento. Impersonato da una giornalista visibilmente attonita, quasi paralizzata dall’incomprensione mentre gli sforzi per capirci qualcosa le ronzavano in testa come uno sciame di moscerini. Possiamo immaginare che lo stato d’animo dei telespettatori non fosse molto diverso dal suo.

Lo strampalato intervento per spiegare cosa fosse successo, al termine di una conferenza stampa indetta in fretta e furia, segna un ulteriore capitolo nella lunga serie di prese di posizione e conferenze stampa, non sempre all’altezza delle urgenze che hanno contrassegnato l’annus horribilis 2020. Dalle frettolose rassicurazioni del medico cantonale per il quale al Rabadan sarebbe stata meno sorprendente l’apparizione di una Miss coronata che non quella di un virus con ben altro tipo di corona, fino alla forsennata comunicazione sul presunto atto di terrorismo, passando dall’invito agli anziani a trasformarsi in vertebrati omeotermi per andare in letargo, la comunicazione ufficiale rimane in Ticino problematica e scomposta.

La Facoltà di Comunicazione dell’Usi, ormai in età adulta, sembra realtà assente nel tessuto istituzionale. Ci si potrebbe anche porre qualche interrogativo sul ruolo che svolge o che dovrebbe svolgere nel Cantone.

Approssimazione e fretta nella comunicazione incrinano la fiducia e non facilitano la coesione sociale, più che mai indispensabile in questi frangenti: la feroce impazienza dei social non aspetta altro per portar avanti a colpi di pregiudizi e affermazioni, idee, conclusioni precotte e riscaldate dove svettano improvvisati virologi e neo laureati esperti di terrorismo all’Accademia della tastiera.

Per quale ragione ad esempio si è voluta indire in fretta e furia una bislacca conferenza stampa presente la direttrice dell’Ufficio federale di polizia per aggiungere in sostanza solo una buona dose di confusione agli interrogativi che potevano essere affrontati con maggior accuratezza qualche ora più tardi?

Il deficit comunicativo cantonale non è un problema irrilevante, perché favorisce la circospezione, alimenta pure complottismi e sciacallaggi politici di vario genere, crea in sostanza dannose incomprensioni e tensioni nella società.

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