laR+ L'analisi

Perché Vienna dopo la Francia

Il filo rosso è l’Europa, teatro in perenne costruzione della democrazia, della tutela delle minoranze, del rispetto di diritti e libertà

(Keystone)
4 novembre 2020
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La Francia, si capisce; se è possibile usare questo verbo, ‘capire’, per cercare di spiegare gli atroci attentati nella cattedrale di Nizza, e ancor prima quello alla periferia di Parigi contro Samuel Paty, decapitato per aver mostrato ai suoi allievi le caricature di Maometto ripubblicate da ‘Charlie Hebdo’. La Francia bersaglio, anche in passato, perché simbolo (invero non sempre cristallino) della laicità, perché ex potenza coloniale in Paesi musulmani, perché approdo di milioni di immigrati dal mondo arabo, perché oggi ancor più convinta di dover combattere quel “separatismo islamico” che pretende di organizzare – come sostiene Gilles Kepel, il grande esperto di jihadismo radicale – una sorta di “Stato nello Stato” anche approfittando della “gestione di scuole, ospedali, associazioni caritatevoli all’ombra delle moschee”. È il gomitolo di situazioni con cui si tenta di capire come si alimentano le reti del terrorismo islamista cosiddetto della ‘quarta generazione’.

Ma Vienna, perché Vienna? Perché l’Austria? Niente colonie, nessuna immigrazione di massa dai Paesi della ‘mezza luna’, anche se la sua capitale (con l’assedio ottomano del settembre 1683) venne a lungo celebrata come baluardo della cristianità contro l’avanzata dell’Islam. Inimmaginabile che ne avessero coscienza e ‘memoria’ vendicativa questi altri carnefici che hanno seminato violenza e panico nelle piazze e nelle stradine del centro viennese. Eppure tutti capiamo che il filo rosso del terrorismo lega queste offensive del terrore in Paesi diversi del vecchio continente.

Questo filo rosso, questo denominatore comune, si chiama Europa, l’Europa che tanto fa discutere noi europei, che ci divide, ci contrappone, ci delude. Ma che gli occhi del fanatismo vedono per quello che è, e che proprio noi non dovremmo dimenticare, e semmai continuare a consolidare: il teatro in perenne, faticosa e contraddittoria costruzione di una democrazia certo imperfetta, la tutela di tutte le minoranze, il rispetto di diritti e libertà, la difesa di chi è fisicamente attaccato anche per qualcosa che non sempre ci piace né ci convince (lo avevamo scritto anche per le vignette di ‘Charlie’).

Può sembrare retorico. Tuttavia è il patrimonio comune della civiltà europea, pur con tutti i suoi errori (‘guerre sbagliate’, neo-colonialismo, fobie indotte e mancate integrazioni). Lo dimentichiamo spesso, magari ammirati da chi con disprezzo ritiene che la nostra civiltà imperfetta sia ormai ‘obsoleta’. Non lo dimentica, invece, chi, in nome di una interpretazione assolutista, barbara, fanatica, fideistica, questo modello vorrebbe terrorizzare e sconfiggere. E che ispira un odio che ormai nemmeno necessita un ordine per agire contro la ragione, contro la laicità, contro la libertà di pensiero. E che continuerà a farlo.

È sempre difficile ribadirlo proprio quando la violenza terroristica si impossessa delle nostre città, quando un’intima rivolta sospinge verso la voglia di repliche basate sulla forza impossibile e sulla chiusura velleitaria, quando le condanne e la solidarietà delle comunità musulmane non ci appaiono sufficientemente nette e partecipi. Ma ricordiamoci, anche nell’ora dell’indignazione, che l’obiettivo di questo terrorismo è nitido. Trascinarci nelle loro tragiche negazioni. Un passo fuori la nostra civiltà. Sarebbe la loro vittoria.

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