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Non è un paese per donne

La politica ticinese richiama le immagini di fine Ottocento: solo uomini saldamente al potere

Non fosse per i colori e l’abbigliamento, l’istantanea potrebbe risalire a un’altra epoca. Immaginando i protagonisti ritratti in bianco e nero, magari in doppiopetto, o con le falde della giacca che mostrano boriosi panciotti, con tanto di bombette e baffi potremmo pensare a una foto d’epoca, fine Ottocento o anche Belle Epoque. La foto in questione risale in realtà a qualche giorno fa: immortala sul palco otto partecipanti alla “piattaforma cantone-comune”. I protagonisti, consiglieri di Stato, sindaci, un municipale, seduti su comode poltrone, rigorosamente in giacca e cravatta. Canton Ticino, settembre 2020: tutti maschi, non ci sono donne.

Fragorosa su Facebook la sventagliata di denunce: si va dal “feudalesimo patriarcale” a “una vergogna” fino al “manco in Iran”. Un boato di indignazione unanime. O quasi. Perché qualcuno, con arguzia, si incunea nel coro per segnalare che quella foto ritrae un consesso di persone elette, non dei moneyman a capo di una big corporation. Insomma, la foto ritrae semplicemente la realtà: se gli uomini sono lì è che sono stati eletti. Allora se non possiamo che sottoscrivere la sedizione contro questa plateale assenza di donne, al tempo stesso dobbiamo dare ragione a questa puntualizzazione.

Le scorciatoie del pensiero rassicurano chi le imbocca, ma non aiutano a capire. Donne che non si candidano o donne, tra le più brave e competenti in assoluto, da Giovanna Masoni e Laura Sadis, che in Ticino disertano la politica. Perché? Interrogativo analogo, quello che si pone osservando le statistiche universitarie in Svizzera: solo il 23% di studentesse nelle facoltà di scienze esatte, 78% invece nelle materie linguistiche. Nelle scuole medie ticinesi, solo sette direttrici in 35 sedi.

Non vi è alcun dubbio che le condizioni quadro legali e lavorative problematiche per le donne con figli, oltre alla tradizione familiare patriarcale, giochino un ruolo preponderante. Ma si tratta di una spiegazione solo parziale. La celebre neuropsichiatra statunitense Louann Brizendine (“Il cervello delle donne”, Rizzoli) rivela che per ragioni ormonali, le scelte di uomini e donne, passata l’adolescenza, si divaricano: gli estrogeni che inondano il cervello portano a privilegiare attività che evidenziano l’aspetto relazionale e comunicativo, la tempesta di testosterone indirizza maggiormente su attività che non contemplano grande interazione con gli altri.

Gli uomini più ambiziosi e battaglieri, le donne più attente alla qualità delle relazioni? Un tabù, quello delle differenze di genere, e un campo minato, certo: sia perché facilmente manipolabile dal fronte di chi difende lo statu quo, sia perché dall’altra parte urta le certezze del politically correct. Malgrado qualche importante progresso a livello nazionale (42% delle donne in Consiglio nazionale e tre su sette in Consiglio federale) il Ticino ha da tempo innestato la retromarcia. Per invertire la rotta la politica ha un compito decisivo (abbandonando la retorica palestrata e prevaricatrice, migliorando le condizioni quadro). Ma vi è anche una responsabilità individuale che sarebbe sicuramente demagogico eludere: senza una maggior assunzione di responsabilità e partecipazione alla vita politica da parte delle stesse donne, nulla cambierà.

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