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Il virus, tra incertezze e cecità

La scuola riapre tra tante incognite ma con qualche polemica in meno rispetto all’infuocata tarda primavera

È giunta l'ora di tirare giù le sedie (Ti-Press)

Si riparte in presenza, ma forse si finirà a distanza. La scuola riapre tra tante incognite ma con qualche polemica in meno rispetto all’infuocata tarda primavera. In questi mesi qualcosa si è appreso: con l’incertezza e con il rischio bisogna convivere. Lo hanno capito i genitori, i docenti, lo hanno accettato i commerci e il mondo della cultura, pure il mondo dello sport con un Tour de France partito sabato ma il cui arrivo a Parigi è tutto fuorché sicuro. Salute, educazione, economia non possono essere poste, come era stato fatto frettolosamente in passato, in contrapposizione. Tra di esse vi è la politica che deve mediare, valutare, calibrare. La Nzz titola “niente panico”, un appello che sembra rivolgersi soprattutto a quella parte della Svizzera che dopo aver snobbato il meridione elvetico ad alta densità pandemica in marzo-aprile, ora si ritrova a dover rispettare misure ben più restrittive che a sud delle Alpi.

Dall’arco lemanico a Basilea, Soletta, Zurigo si è passati dai consigli di prudenza a diktat che hanno fatto storcere il naso anche a chi non può certamente essere sospettato di simpatie ultraliberali, come la consigliera di Stato socialista zurighese Jacqueline Fehr. Distanze fisiche (“sociali” secondo un singolare scivolamento semantico) e mascherine obbligatorie non intaccano certamente le libertà fondamentali (salvo per chi di queste ha una ben scarsa considerazione, dai bauscia e tamarri con fuoriserie e Rolex dorati di Porto Cervo ai complottisti di varie estrazioni che manifestano a Berlino).

L’incertezza con la quale dobbiamo convivere quotidianamente è in parte alimentata dalla mancanza di informazioni affidabili. A nulla servono i bollettini giornalieri in cui una stampa pigra e routiniera pubblica il numero di contagi: rispetto alla prima ondata in effetti, assistiamo a uno scollamento netto tra questi e il numero di ricoveri e di morti. I reparti di rianimazione si sono svuotati un po’ ovunque. L’ultimo decesso legato al virus Sars-Cov-2 in Ticino risale a tre mesi fa. Più utile sarebbe ragionare sul calo dei ricoveri. Come spiegarlo? Gli esperti non hanno certezze. Il trend, positivo, è forse dovuto al mutamento demografico dei contagiati (più giovani e asintomatici), al miglioramento della prevenzione e delle cure, o forse a un mutamento del virus stesso.

La competizione farmaceutica mondiale (sette aziende sono già in fase 3 che coinvolge decina di migliaia di volontari) potrebbe accelerare i tempi e darci un vaccino entro la primavera. Rimangono comunque desolatamente povere la riflessione e la presa di coscienza sulle ragioni della pandemia.

Dall’Iliade alla Bibbia fino al Medioevo e oltre, le epidemie erano viste come punizioni divine. La nostra consapevolezza razionale che “così non è”, al momento non ha sortito grandi effetti. Sappiamo che la pandemia che ci ha colpiti, come tante altre, è di natura zoonotica, ci viene cioè trasmessa da quegli animali (sia selvatici sia in allevamenti intensivi) il cui habitat o la cui esistenza è minacciata dalla nostra illusione prometeica, quella che ci fa credere onnipotenti di fronte alla natura. Un’illusione che inevitabilmente ne produce un’altra: quella secondo la quale, sconfitto il Covid, si potrà tornare a pasteggiare a Champagne.

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