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Il funerale dell’etica ebraica

Cosa significa ‘popolo eletto’? Contrariamente alla vulgata dagli echi antisemiti, l’elezione non connota un senso di superiorità.

Cosa significa “popolo eletto”? Contrariamente alla vulgata dagli echi antisemiti, a volte alimentata però dagli estremisti del Grande Israele, l’elezione non connota un senso di superiorità.

Ce lo ricordano sia la tradizione dell’ebraismo più aperto, riformatore (per il quale l’antica alleanza con Yahweh implica il dovere di collaborare con tutti gli esseri umani) sia l’insegnamento dei rabbini ortodossi: Rabbi Norman Lamm, una delle personalità più influenti di questa corrente, spentosi qualche settimana fa, spiegava che l’elezione di Israele porta all’autotrascendenza collettiva e all’obbligo di fratellanza verso il resto dell’umanità.

Il caso ha voluto che pure Zeev Sternhell si spegnesse negli scorsi giorni, proprio alla vigilia dell’annunciata annessione (prevista domani) della Valle del Giordano, un terzo della Cisgiordania palestinese, da parte dello Stato ebraico. Sternhell, grande intellettuale e studioso del fascismo, era ateo, ufficiale di riserva di Tsahal, aveva combattuto le grandi guerre, da Suez al Libano, passando da quella dei sei giorni e del Kippur. Si definiva arci-sionista: e proprio in nome della sua concezione di un sionismo di stampo egualitario e umanista, non mancava di scagliarsi contro le derive “razziste” della destra annessionista israeliana. “Sono le idee che guidano il mondo” amava ripetere. E nelle idee di annessione Sternhell intravedeva un pericolo letale per quell’ebraismo che nella storia ha saputo costruire una coscienza di stampo universalista.

Il “popolo eletto” doveva secondo l’esegesi biblica essere “come il grano tra la pula, come il giglio tra le spine”: la coscienza universale del giusto e del bene. Apporto straordinario quello del popolo del libro, che non si limita di certo all’ambito della fede: basti pensare a Baruch Spinoza che ha sottratto il pensiero dalle maglie del pregiudizio e della religione, o a Moses Mendelssohn a cui si deve la nascita nel XVIII secolo dell’illuminismo ebraico.

La decisione del governo Netanyahu sostenuto dalla sbalestrata diplomazia della famiglia Trump (con in prima fila il rampante genero Jared Kushner) viola in modo flagrante il diritto internazionale: a questo la destra israeliana ci aveva già abituati dai tempi di Menachem Begin con l’annessione di Gerusalemme est e delle alture del Golan a inizio anni 80. Ma apre pure una profonda ferita in quel mondo ebraico, israeliano e della diaspora, che vede minacciati i propri valori fondamentali.

Lettere e prese di posizione pubbliche di personalità ebraiche denunciano oggi “un crimine contro l’umanità” , il nascente regime di apartheid, il rischio di alimentare l’antisemitismo nel mondo ma anche la messa in pericolo dell’identità ebraica: a prendere posizione in modo inequivocabile personalità di opposte tendenze politiche, da Susannah Heschel professoressa universitaria, figlia di Abraham Joshua Heschel, uno dei più influenti rabbini del XX secolo, a Bernard Henri Levy o Alain Finkielkraut insospettabili intellettuali francesi.

Immanuel Kant sosteneva che se non è sempre possibile capire nella Bibbia qual è la parola di Dio, è invece possibile intuire quando non è Dio a parlare: quando i suoi comandamenti violano la legge universale. Oggi Israele celebra, in nome di un presunto diritto supremo alla terra palestinese, il funerale dell’utopia etica ebraica.  

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