L'analisi

Un’Europa alleata dei propri nemici

La pandemia di Covid-19 ha svelato la finzione di un Europa divisa da numerose 'faglie', sia quella orietale, sia quella che divide nord e sud

Keystone
16 maggio 2020
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Alla fine i cosiddetti sovranisti hanno trovato nel campo avversario il migliore alleato nella propria battaglia contro tutto ciò che sa di Europa. Additate, giustamente, come un virus politico capace di destabilizzare ciò che una comune volontà aveva impiegato decenni a costruire, le Brigate Salvini sono state per un momento marginalizzate dall’imporsi di una pandemia maggiore; e al loro posto l’iniziativa è stata ripresa da governi e organismi usi ad accreditarsi come garanti di valori e istituzioni comunitarie… purché prevalga l’interesse nazionale, come hanno dimostrato – d’accordo, con maggiore aplomb di Alternative für Deutschland – i giudici della Corte costituzionale tedesca.

Non è il caso di sorprendersi. In realtà occorreva uno sforzo notevole per non riconoscere le numerose faglie che incidono la superficie dell’Unione: quella che correva da nord a sud separando la “vecchia” Europa dal blocco orientale dei “Paesi Visegrad”, non meno di quella che opponeva il nord “virtuoso” alle cicale meridionali. Un quadro nel quale, paradossalmente, il solo fermento comune da un estremo all’altro della tela era quello delle destre populiste (destinato a sua volta a frantumarsi in un conflitto intestino, ma non è ciò di cui parliamo qui).

Diciamo allora che la pandemia di Covid-19 ha svelato la finzione. Le estenuanti trattative per la definizione di un programma condiviso di riparazione dei danni economici causati dal contagio ne sono state una conferma esemplare.

Senza sollevare l’Italia, per citarne il caso, dalle sue responsabilità per lo stato dei suoi conti, l’acredine manifestata nei confronti di uno Stato fondatore dell’Unione (di cui è pur la terza forza economica) ha rivelato il profondo radicamento del pregiudizio nutrito da molte capitali.

Il siparietto del capo del governo olandese Rutte che risponde “ci mancherebbe” all’esortazione rivoltagli da un concittadino – “non date soldi agli italiani!” – parla da sé.

La stessa sentenza della Suprema Corte tedesca, che “intima” alla Banca centrale europea di giustificare le misure di sostegno dell’euro (adottate a suo tempo da Mario Draghi), pur non riferendosi alle misure anti-Covid e benché motivata e contestualizzata da fini argomentazioni giuridiche, per il momento in cui cade è soprattutto rivelatrice di un equivoco di fondo circa la preminenza del diritto comunitario su quello nazionale, in sostanza sulla natura stessa dell’Unione europea. Imponendo al governo del proprio Paese la scelta tra ignorare il diritto comunitario o contraddire la propria suprema istanza giuridica, la sentenza della Corte ha un potenziale destabilizzante ben superiore alle sparate dei capipopolo la cui parabola, sperabilmente, non dura in eterno.

Adesso vai a capire se i possibili frantumi in cui rischia di finire l’Unione europea erano già scritti nel suo destino, o se sono il frutto della sventura. Ciò che si può dire con qualche certezza è che il momento per confermare la fondatezza del progetto europeo non poteva essere più propizio e soprattutto necessario: con lo sgretolamento della leadership mondiale degli Stati Uniti e il fallito esame di credibilità della Cina, una pur stanca Europa avrebbe potuto indicare un’alternativa. Essersi sottratti a questa responsabilità è una colpa che i governi non potranno addebitare al fracasso nazionalista. Anzi, se ne sono resi complici.

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