L'analisi

La scuola nell’età dell’incertezza

Convivere con l’insicurezza è già oggi ineludibile realtà e sfida improrogabile

Il cigno nero, teoria elaborata dall’economista Nassim Taleb, è in sostanza una metafora per spiegarci come avvenimenti imprevisti possano avere un’importanza spropositata e un così grande ruolo nella storia. L’allegoria del grande uccello acquatico calza perfettamente con il Covid-19. La pandemia ci precipita tutti in un inedito scenario la cui cifra essenziale è quella dell’incertezza. Incertezza sull’origine del virus Sars-Cov-2 (zoonotica certo, ma proveniente da un mercato umido cinese o sfuggita inavvertitamente da un laboratorio di Wuhan?), incertezza sulla sua letalità, sui suoi effetti medici (solo ora si comincia a capire che può attaccare oltre ai polmoni, anche gli occhi, i reni, o il sistema nervoso), incertezza sulle sue implicazioni sociali, economiche e personali. Convivere con l’insicurezza è già oggi ineludibile realtà e sfida improrogabile. Alla quale la scuola non può ovviamente sottrarsi. In vista della probabile decisione del Consiglio federale di far cadere il divieto di apertura delle scuole dell’obbligo a partire dall’11 maggio, il confronto di idee è già scontro di posizioni. La paura alimentata dalla mancanza di informazioni epidemiologiche certe sui pericoli condiziona il dibattito. In Ticino il direttore del Decs Manuele Bertoli caldeggia una riapertura parziale della “scuola in presenza”, quella non virtuale per intenderci: classi dimezzate, orari scaglionati, distanza di sicurezza minima tra allievi e anche maggiore tra questi e i docenti, eccezione per alcune materie che continuerebbero con l’insegnamento a distanza, dalla musica all’educazione fisica o visiva. I sindacati, Ocst, Vpod, sono aperti a un compromesso. Meno flessibile il Movimento della Scuola che auspica in sostanza lo statu quo: scuola a distanza con qualche eccezione, tra cui singolarmente quella per gli allievi maggiormente in difficoltà che frequenterebbero dunque gli istituti scolastici. Dal cilindro dei responsabili politici non uscirà nessuna soluzione miracolo, unanimemente condivisa. Appare importante tuttavia inserire il discorso scuola in un contesto più ampio, quello di una società che vacilla, in cui si dovrà convivere con un certo, seppur misurato, rischio. In Italia il premier Conte ha rinviato l’apertura delle scuole a settembre “per non mettere a rischio la salute dei bambini”. Decisione non priva di una certa demagogia, quella dei bimbi essendo la categoria meno a rischio di contagio e trasmissione, come conferma una vasta ricerca pubblicata dall’autorevole New England Journal of Medicine.

Senza dimenticare gli effetti collaterali, a volte devastanti, dell’isolamento, sia per i bimbi sia per le famiglie (spesso per quelle meno abbienti, con poco spazio a disposizione e con i genitori costretti ad andare al lavoro). Tenere le scuole chiuse fino a un potenziale rischio 0 significherebbe mantenere il confinamento fino alla scoperta e produzione di un vaccino. Improponibile. Manuele Bertoli appare determinato: sono naturalmente imprescindibili la concertazione con i comuni, sindacati, associazioni, o le 36 sedi di scuola media, l’applicazione di misure specifiche sugli spazi (utilizzo di palestre, spazi all’aperto) o quelle preventive fondamentali e inalienabili per docenti e famiglie a rischio sanitario. Ma è difficile immaginarsi che l’istituzione scolastica possa abdicare al suo fondamentale ruolo e rinunciare a confrontarsi, come tutti, con la generale incertezza.

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