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Il contagio autoritario

Si diffonde come e più del Covid-19 e rischiamo di subirne a lungo le conseguenze

2 aprile 2020
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Si diffonde come e più del Covid-19 e rischiamo di subirne a lungo le conseguenze, considerato che per il contagio autoritario non c’è vaccino che tenga. La questione si era già posta quando era il ‘terrorismo’ a occupare giornali e telegiornali (diciamo, per convenzione, dall’11 settembre 2001): quanta libertà e quali diritti si era disposti a cedere in nome della sicurezza e dell’interesse generali? Oggi, essendo il nemico il coronavirus, il problema si ripropone in termini ancora più urgenti, poiché nel frattempo il preciso indirizzo autoritario di alcuni tra gli Stati più importanti del Pianeta ha fatto scuola presso molti aspiranti autocrati; e anche i governi democratici fanno sempre più ricorso a legislazioni emergenziali, giustificate dalla drammaticità del momento, utilizzando talora un linguaggio da “stato di guerra” (Macron, tra gli altri) con una leggerezza inquietante.

Caso unico in questo scenario gli Stati Uniti, governati da un falsario che nega la realtà e si smentisce ad ogni dichiarazione pubblica, manifestando tuttavia il più grande disprezzo per quanti denunciano e si oppongono alla sua sistematica falsificazione: i giornalisti non proni innanzitutto. E unica, e senz’altro inedita (quantomeno da ottant’anni a questa parte) è l’assenza di leadership statunitense in una crisi di portata mondiale come quella dei nostri giorni.

Un vuoto ‘naturalmente’ occupato da regimi più pratici in fatto di autoritarismo. Si pensi alla Cina, che ora dispensa aiuti e consigli con magnanimità e larghezza, dopo essere stata follemente omissiva nel riconoscere e affrontare il dilagare del virus. Proprio il suo modello di isolamento forzato delle aree infette e di (posticcia) rapidità di intervento sono presi ormai ad esempio ovunque, dopo essere stati indicati come esempio virtuoso dalla stessa Organizzazione mondiale della sanità. O alla Russia di Putin, dove i sistemi di riconoscimento facciale e di tracciamento degli spostamenti individuali hanno trovato nella ragione di contrasto all’epidemia una nobile giustificazione (comunque superflua, considerata la natura del regime). O alle Filippine di Duterte, alla Turchia di Erdogan, giù fino all’Ungheria di Viktor Orban (e gli italiani possono, come si dice, “segnarsi col gomito” avendola scampata dall’avere un Salvini capo del governo con i pieni poteri che aveva chiesto).

Personaggi e regimi la cui natura è tuttavia ben nota, si dirà. Ma i cui metodi non vanno sottovalutati, nel momento in cui misure di controllo sociale sempre più stringenti vengono adottate anche nelle nostre democrazie. Date le dimensioni del contagio, non è naturalmente in discussione la necessità di decisioni centralizzate e di procedure accelerate. Ma proprio perché una situazione eccezionale richiede pratiche eccezionali è assolutamente importante fissarne condizioni e limiti – temporali, se non altro. In Italia, dove droni e telecamere di sorveglianza sono diventati d’uso comune, si sono sentiti sindaci utilizzare toni da dittatorelli di repubbliche delle banane, gente a cui la presenza dell’esercito nelle strade fa brillare gli occhi. Lo stesso ricorso alla decretazione come strumento legislativo può essere certamente una necessità, ma è ugualmente una tentazione per gli esecutivi decisi a bypassare le pastoie (come spesso vengono definite) delle procedure parlamentari.

Il fatto, e non poteva essere altrimenti, è che l’emergenza sanitaria ha assunto il primato sulle garanzie democratiche e di libertà dei cittadini. Quando la prima sarà, speriamo, superata, bisognerà ristabilire le seconde. Secondo la casistica nota sinora non c’è garanzia che ciò avverrà.

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