L'analisi

Salvini battuto. Il resto è da fare

C’è una parte d’Italia a cui non la racconta neppure il Salvini “meglio” istruito dagli alchimisti della sua propaganda

28 gennaio 2020
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C’è una parte d’Italia a cui non la racconta neppure il Salvini “meglio” istruito dagli alchimisti della sua propaganda. A Bibbiano, il paese dove i comunisti mangiano i bambini, è rimasto, per interposta Borgonzoni, otto punti percentuali dietro l’odiatissimo Pd. E qualcosa vorrà dire. Ma il risultato del voto in Emilia Romagna non indica necessariamente un mutamento più vasto nell’elettorato italiano; e, se frainteso, potrebbe persino rendere più confuso il quadro che ne nascerà.

Per diversi motivi, oltre a quello, scontato, che si votava anche in Calabria, dove la destra ha battuto il centrosinistra. Una ragione decisiva è stata la pretesa di Salvini di trasformare il voto in un plebiscito su sé stesso attribuendo un significato nazionale a una consultazione regionale. Evidentemente ci vuole altro che lui per convincere gli abitanti di una regione ricca e bene amministrata delle necessità di una loro “liberazione”. In questo senso, il risultato di Salvini e il tracollo dei 5Stelle scontano il medesimo handicap: una cosa è spararla grossa quando si vota per qualcosa di “lontano” (Roma, o, più ancora l’Europa), un’altra misurarsi sul posto con chi davvero “sa fare”.

Discorso non applicabile in uguale misura all’esito del voto in Calabria, dove la vittoria della destra porta il marchio di una vecchia consorteria a cui Berlusconi ha ancora qualcosa (di pessimo) da dire, e dove la Lega ha perso un sacco di voti, segno che i padrinati locali se ne servono come e quando fa loro comodo. Un passo falso di Salvini, qui, che tuttavia non indebolisce la presa esercitata sull’intera destra post forza-leghismo.

C’è contraddizione tra i due risultati? Sì, ma non del tutto. Un buon punto di partenza per ragionare su che cosa deriverà da questo voto sul piano nazionale, cioè sul governo Conte, potrebbe essere il dato relativo alla partecipazione al voto: poco più del 44% in Calabria; quasi il 68% in Emilia Romagna. Una partecipazione che, in anticipo sul giorno del voto, aveva dato una manifestazione inequivocabile di sé nelle piazze riempite dalle “Sardine”. Quelle piazze – e in politica non è quasi mai un caso – che per ultime erano state riempite da Grillo.

Prima lezione: le piazze, eccetto quelle televisive, non sono necessariamente di destra; lo diventano quando l’interlocutore cercato (e il Pd faccia il conto di quante volte) ne ignora contenuti e sollecitazioni. Né basta il tentativo di mettervi sopra il cappello per farle proprie: il Pd deve cioè risolversi: intendere le Sardine (e più in generale i milioni di italiani che rifiutano la salvinizzazione) come bacino di consenso, o come fonte di significati? Da come agirà e da come vi riuscirà discenderanno le sue prossime fortune elettorali, ma più ancora quelle della politica italiana.

Certo, di mezzo c’è una responsabilità di governo, che ora chiede di essere assunta con una diversa risoluzione. Con un movimento 5Stelle ridotto alla poca cosa che sono i suoi rappresentanti, ma ancora forte in parlamento non sarà facile andare avanti. Il tentativo fallito di smarcarsi sul piano elettorale potrebbe spingere i grillini a tentare una estrema resistenza nel ridotto parlamentare. Col rischio di far saltare tutto. E non aiuta la chiamata di Giuseppe Conte – che con Salvini ha governato concedendogliele tutte – alla formazione di “un fronte progressista contro le destre”. Non solo per il fastidio che provoca certo smaccato opportunismo; ma, più importante, perché è dai tempi di Berlusconi che il centrosinistra è compatto “contro”, sfaldandosi non appena viene richiesto di una capacità di visione e di convinzione. Dagli elettori gli è stata di nuovo data una possibilità. Non ce ne saranno all’infinito.

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