L'analisi

Johnson adesso non ha più scuse: non gli basteranno le gag

Il commento sulla vittoria di Boris Johnson alle elezioni anticipate in Gran Bretagna. Il primo ministro dovrà trovare soluzioni anche sui fronti domestici

Keystone
13 dicembre 2019
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Più chiara di così non poteva essere la vittoria di Boris Johnson. Un trionfo che fa piazza pulita di tutte le ambiguità che ancora condizionavano la volontà britannica di lasciare l’Unione europea (e che, va detto, sarebbero invece rimaste se ad affermarsi fosse stato il laburista jeremy Corbyn). Che poi alla chiarezza del successo corrisponda quella dell'orizzonte politico che da ora si schiude è tutto da dimostrare. Anzi, è un'illusione alimentata dalla propaganda.

Intanto perché Boris Johnson (l'uomo che secondo The Guardian ha "berlusconizzato" il Regno Unito, e non è un complimento)  ha sinora dimostrato di eccellere nel fomentare e cavalcare il nazionalismo più gretto, ma deve ancora essere messo alla prova in un confronto di sostanza, e destinato a divenire particolarmente duro, con l’Unione europea. È infatti presumibile che l’Ue non vorrà concedergli sconti, se non altro per fare della durezza delle "condizioni di uscita" del Regno Unito un deterrente nei confronti di altri Stati membri che dovessero farsi venire la stessa idea (e per inviare un messaggio agli Usa di Trump, che la vorrebbe fatta a pezzi). Entro il 31 gennaio, dunque, la Brexit sarà magari cosa fatta, ma la negoziazione di tutte le nuove relazioni tra le parti richiederà un tempo ben maggiore del mandato accordato a Johnson dagli elettori. Saranno questi ultimi a portarne le conseguenze e non è detto che a Johnson interessino.

Questo per l’Europa. Ma ci sono altri elementi problematici: domestici e non meno dirompenti. Due in particolare.

Come è noto, con la Brexit l’indipendentismo scozzese, messo in  stand-by più che sconfitto dall'esito negativo del referendum del 2014, tornerà a rivendicare le proprie ragioni/pretese. Non con modalità "catalane", probabilmente, ma con non minore determinazione. Si sono già sentiti politici di rilievo rivendicare "meglio con l'Ue che con l'Uk [United Kingdom]" e niente assicura a Johnson che basteranno le sue gag a rimetterli in riga.

Per non dire dell'Irlanda del Nord, la cui storia dovrebbe preoccupare Londra ben più dei nostalgici di Braveheart. L'idea di ripristinare i confini che prima l'accordo "del venerdì santo" (1998) poi la libera circolazione infraeuropea avevano di fatto eliminato è una scommessa al buio. Johnson "lo deve" agli unionisti oltranzisti sui quali si è appoggiato, ma sa bene che l'irredentismo repubblicano ha sì deposto le armi, ma non ha smesso di essere tale. Anche in questo caso le buffonate in cui Johnson è maestro potrebbero volgersi in dramma.

Quanto poi alla fiducia popolare che Johnson ha promesso di onorare, si vedrà quali politiche sociali adotterà il suo governo. Senza più un'Europa a cui dare la colpa, la politica Tory rivelerà sé stessa. Erano tutti avvisati.

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