L'analisi

Quando BoJo gioca col fuoco

La decisione del premier britannico Johnson di sospendere il parlamento suscita indignazione fuori e dentro i palazzi della politica

Manifestazioni popolari contro il primo ministro Boris Johnson (Keystone)
2 settembre 2019
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Questa volta quanto succede al numero 10 di ‘Clowning street’ non fa proprio ridere. Il proverbiale humour britannico si infrange sugli scogli di un populismo portato agli estremi. Se Boris Johnson amava presentarsi in vesti buffonesche, come quando faceva jogging nelle strade della capitale di cui era sindaco indossando bermuda e giacca a fiori, il suo colpo di scena istituzionale, ora che è premier, inquieta. Più che alla tradizione democratica tramandata nelle eleganti sale di Westminster, sede dei due rami del parlamento, il suo modo di fare è consono a una repubblica delle banane. Un colpo di testa che suona come un colpo di grazia per il parlamentarismo e che suscita indignazione dentro e fuori i palazzi della politica.

Da oltremanica ‘Le Monde’ ci va giù pesante: non solo buffone, ma anche “bugiardo, dilettante, cinico e brutale”. I giornali britannici non sono da meno: ‘The Guardian’ denuncia un “colpo di Stato” da parte di un “truffatore arrogante”. Violenza verbale dai toni inediti, termometro della crisi più profonda mai attraversata dal Regno Unito. Non v’è dubbio: la ‘prorogation’, la sospensione del parlamento per 5 settimane, non è illegale. Non viola dunque la prassi costituzionale (da ricordare nel Regno Unito non esiste una Costituzione scritta). Per questo ha subito avuto l’imprimatur della Corona. Ma è altrettanto vero che mettendo la museruola al parlamento per un lasso di tempo tanto lungo, BoJo mette in atto un vero golpe istituzionale violando lo spirito della legge, l’anima di una democrazia che ha sempre (e un po’ spocchiosamente) voluto ergersi a modello, campione del parlamentarismo, rivendicando in qualche modo lo statuto di culla dei diritti, del ‘rule of law’. Il figlio nel suo sprezzo del legislativo supera il padre. Leggasi Donald. Impedire alla Camera dei Comuni di legiferare alla vigilia di una data capestro tanto decisiva per il futuro del Paese per far passare un ‘no deal’ che né parlamento né (molto probabilmente) popolazione vogliono, porta il Paese su un pericoloso piano inclinato. Una mossa da “vigliacco” secondo la leader del partito liberale, anti Brexit, Jo Swinson. Ma anche nel campo conservatore questo Boris Johnson in formato Nigel Farage, estremista, non piace a tutti.

L’istrionico John Bercow, speaker della Camera dei Comuni, denuncia uno “scandalo costituzionale” mentre l’ex premier John Major, successore di Margareth Thatcher, si è unito alla causa legale promossa dalla pasionaria anti Brexit Gina Miller per portare il premier davanti ai giudici. Il 6 settembre prossimo un tribunale di Edimburgo si esprimerà  in modo definitivo sulla controversa ‘prorogation’. BoJo gioca dunque col fuoco, mentre l’opposizione si è lanciata in una corsa contro il tempo.

La parola d’ordine di Jeremy Corbyn, leader laburista alquanto ambiguo in tema Brexit, è mozione di sfiducia. Il Labour spera di poter contare sui ‘remain’ (contrari alla Brexit) del partito conservatore. Ma anche la forza dei numeri potrebbe non essere sufficiente. BoJo ha già avvertito: anche sfiduciato dal parlamento non se me andrebbe, rimarrebbe in carica, indicendo sì elezioni anticipate, ma dopo il 31 ottobre. Calpestando di nuovo lo spirito della legge. Nulla di veramente sorprendente in fondo per un politico che non è stato eletto, ma nominato alla carica di capo del governo da un’infima minoranza (90mila) di sudditi della regina con la tessera del partito conservatore. È una delle tante contraddizioni di un Paese che mette in gioco il suo futuro sulla base di un referendum organizzato tre anni fa da David Cameron. Referendum, è bene ricordarlo, a carattere consultivo.

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