L'analisi

Amazzonia, a rischio clima e biodiversità

La perdita delle foreste avrà ripercussioni in tutto il mondo, ma non per la questione dell'ossigeno

A rischio il 10% della biodiversità mondiale (Keystone)
28 agosto 2019
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Non è vero che produce il 20% dell'ossigeno mondiale, come molti stanno affermando in questi giorni sui social e non solo, ma l'Amazzonia va salvata per una serie di motivi, tutti connessi alla salute del mondo intero. La precisazione espressa in un articolo sul sito The Conversation da Scott Denning, fisico dell'atmosfera della Colorado State University, trova d'accordo anche Isabella Pratesi, che dirige il programma di conservazione del Wwf Italia e ricorda come la foresta brasiliana sia comunque essenziale per la sopravvivenza del pianeta sotto diversi aspetti. "L'affermazione che la foresta amazzonica produca il 20% dell'ossigeno del Pianeta è basata su un errore. Nei fatti quasi tutto l'ossigeno respirabile ha origine negli oceani, e ce n'è abbastanza per respirare per milioni di anni. Le foreste producono molto ossigeno, ma i microbi presenti ne consumano molto. Il risultato è che la produzione del gas è prossima allo zero", chiarisce l'esperto. Le foreste tropicali, sottolinea Denning, contengono molte specie di animali e piante che non si trovano altrove, oltre a stoccare grandi quantità di carbonio che contribuirebbe altrimenti ai cambiamenti climatici. "Non solo - commenta Isabella Pratesi - un altro aspetto fondamentale è la capacità di pompare acqua dall'atmosfera al suolo, con gli alberi che attirano grandi masse umide e, come dicono gli indigeni, 'fanno piovere'. Con la perdita della foresta si favorisce una siccità che influenza tutta la regione, non solo l'Amazzonia. Secondo alcuni esperti siamo vicini per questa foresta al 'tipping point', il punto di non ritorno oltre il quale l'Amazzonia non sarà più in grado di rigenerarsi, e con lei si incepperà anche il Pianeta, basti pensare che la foresta brasiliana e il bacino del Congo 'respirano' in modo connesso l'uno con l'altro". A questo si aggiunge, sottolinea Pratesi, la perdita di specie animali introvabili altrove. "A rischio c'è il 10% della biodiversità mondiale. Il giaguaro è la specie più iconica ma ci sono anche animali meno conosciuti, come l'anaconda, una grandissima varietà di insetti, piccole scimmie e anfibi. Noi pensiamo all'Amazzonia come al regno delle foreste ma lo è anche delle acque, ci sono 100mila chilometri di corsi d'acqua, una ricchezza di vita che perdiamo e che non ritroveremo più".

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