L'analisi

Ignobile guerra del ‘capitano’

Qualche giorno e diverse notti li ho trascorsi su quei moli

1 luglio 2019
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Qualche giorno e diverse notti li ho trascorsi su quei moli. A Lampedusa. In attesa degli sbarchi, degli occhi sgranati, dei volti felici o solo stravolti da spossatezza, incertezza, angoscia. Sopravvissuti delle carrette del mare subito caricati sugli autobus diretti all’unico centro di prima accoglienza, spesso già stracolmo. Sì, le stesse banchine da cui l’altra sera, fra qualche applauso, sono stati urlati gli stomachevoli, beceri insulti sessisti (“speriamo che ti stuprino”) contro Carola Rackete, la comandante tedesca della Sea Watch.

Colpevole, la ‘capitana’, di aver raccolto in mare, messi in salvo, e fatti ‘illegalmente’ sbarcare 42 naufraghi dopo 17 giorni di mare e di divieto di avvicinarsi al porto dell’isola. Porto chiuso, anzi sigillato, «per me possono rimanere lì fino a Natale», aveva proclamato il ducetto peninsulare, col solito supino assenso dei suoi alleati pentastellati. Carola Rackete sapeva di violare la legge e di doverne pagarne le conseguenze. Paradossalmente decideranno gli stessi magistrati al cui giudizio – dopo aver audacemente assicurato di non temerne il verdetto – si è invece sottratto “il capitano”, come Matteo Salvini è stato battezzato dal suo team della comunicazione (“the Beast”, sì “la Bestia”, come si è auto-definita l’équipe della propaganda sovranista). L’accusa, per lui, era di sequestro di persona per il caso della Diciotti, nave italianissima, della Marina militare, con i suoi 177 ‘clandestini’ anche allora bloccati a bordo.

Questo è il ‘capitano’ che ora si scaglia contro la violazione della legge. Con la coerenza che gli è propria. Cioè di un leader che aveva pubblicamente invitato i sindaci del suo partito a boicottare i matrimoni omosessuali, votati dal parlamento. Ma guai a pensare che la disobbedienza civile possa valere anche per il salvataggio di naufraghi: garantito del resto, anzi imposto, come gli ricordano Germania e Francia, dalla legge internazionale sul mare, “legge superiore”. Ma lui se ne frega, e dichiara “guerra diplomatica” all’insensibile Olanda (di cui la Sea Watch porta bandiera). Dimenticando che percentualmente quel Paese ha accolto più profughi di quanti ne abbia registrati l’Italia, che però ne ha messi in strada centinaia di migliaia senza uno straccio di programma assistenziale o di progetti di integrazione. Del resto il ‘capitan ruggente’ si scaglia contro le regole di Dublino sul Paese di prima accoglienza, ma non si è mai presentato alle 22 riunioni organizzate dai suoi colleghi europei per riformarle. Esattamente come l’euro-fobico ha registrato record di assenteismo al parlamento di Strasburgo senza però mai rinunciare al lauto stipendio (un eurodeputato guadagna da 16mila a 19mila euro mensili). Naturalmente i “cattivoni” partner europei vengono accusati di chiudere i confini ai profughi; ma si guarda bene dal biasimare il suo amico ungherese Orbán (e gli altri leader del gruppo Visegrad), campione dell’“accoglienza zero”, e con cui si fa ritrarre durante una lugubre visita lungo gli alti “muri di filo spinato” sulla frontiera magiara. No, importante è colpire le navi delle Ong, volute da chissà chi, finanziate da chissà chi, indicate al pubblico ludibrio, promosse a nuovo nemico pubblico numero uno della patria. Loro devono “abbassare le vele”, lui riempie le sue con altri voti della paura.

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