L'analisi

Putin, le sirene del fascismo e il Ticino

A fianco del celebre e controverso filosofo russo i fotografi hanno immortalato Roger Alfred Etter

12 giugno 2019
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Più noto al pubblico nostrano di Aleksandr Dugin è probabilmente il volto dell’uomo che è apparso accanto a lui nella conferenza indetta da una neo costituita associazione (Fratria) all’Hotel Pestalozzi di Lugano. A fianco del celebre e controverso filosofo russo i fotografi hanno immortalato Roger Alfred Etter. Che dopo aver scontato una lunga pena per un pesantissimo reato e dopo essere rimasto per qualche anno discretamente dietro le quinte è riapparso improvvisamente sul proscenio (“Toh chi si rivede…”, a firma del dir. Caratti nella precedente edizione di laRegione).

L’ex politico Udc ticinese non nasconde le sue simpatie estremiste. Aleggia nei suoi post Facebook una vivida nostalgia per le camicie brune e il Sudafrica boero, il fascino poco discreto per la pelle bella bianca e la gioventù ariana, l’amore dichiarato per le armi e per le croci celtiche, l’attrazione per l’architettura del ventennio o l’iconografia delle Germania hitleriana a cui “la Judea avrebbe dichiarato guerra”. Che a invitare Dugin a Lugano siano stati Etter e la sua “Fratria” (al Registro di commercio risulta come suo vicepresidente) è certamente significativo. Il filosofo, molto influente nelle cerchie del presidente Putin, incarna un fiero nazionalismo panrusso antioccidentale che mira a costituire attorno al concetto di patria-nazione (“narod”) un’entità (Eurasia) in cui primeggerebbero la stirpe e la cultura russe.

Non è forse un caso che Dugin riprenda il concetto di Eurasia forgiato come entità politica e superpotenza nel celeberrimo (e distopico) “1984”. Quel mondo per Orwell era legato alla Russia staliniana. Il progetto si articola attorno alla cosiddetta quarta teoria politica, superamento di comunismo, liberalismo e fascismo. Tuttavia è quest’ultimo movimento, malgrado i timidi tentativi di occultarlo, quello a cui l’intero percorso di Dugin fa riferimento. A cominciare dai pensatori a cui il filosofo si ispira: l’italiano Julius Evola teorico della superiorità della razza ariana su quella “giudea” e Jean-François Thiriart fondatore negli anni 60 di “Jeune Europe” (che si opponeva alla decolonizzazione del Congo belga) e ancor prima membro del gruppo “Amici del grande Reich tedesco”.

Con Eduard Limonov, Dugin fondò nel 1992 il Partito Nazional Bolscevico associando nel proprio vessillo la falce e martello e la bandiera del partito nazista tedesco (Nsdap). Il referente neofascista è apparso alla luce del sole nel tour che il nostro Rasputin contemporaneo aveva effettuato lo scorso anno in Italia. Ospite degli ultras di destra di Casa Pound a Roma è stato introdotto, nella presentazione del suo libro a Milano, da Maurizio Murelli ex terrorista nero, che ha scontato 17 anni di carcere per l’uccisione di un poliziotto. La connivenza tra la destra più estrema e l’influente ideologo russo si iscrive in un processo in corso da anni. Dalla caduta del muro di Berlino, i movimenti nazionalisti europei hanno visto in Mosca un baluardo contro lo Zio Sam e la mondializzazione. La Russia della tradizione imperiale e cristiana per contrastare il multiculturalismo americano ed europeo. In una recente inchiesta “Vladimir Putin, padrino dell’estrema destra in Europa” il quotidiano Le Monde ha rivelato connivenze, finanziamenti più o meno occulti, hackeraggi per favorire partiti di estrema destra con lo scopo evidente di indebolire l’Unione europea. Una strategia chiara ed estremamente insidiosa perché, come i passati fascismi, si incunea subdolamente creando nemici ad arte e facendo leva su una presunta perenne identità pura, da salvare a tutti i costi.

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