L'analisi

L’idra jihadista non ha frontiere

L’Idra di Lerna, il celebre mostro mitologico, aveva le sembianze di un grande serpente anfibio, le cui teste, ricrescevano non appena venivano tagliate.

Keystone
24 aprile 2019
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L’Idra di Lerna, il celebre mostro mitologico, aveva le sembianze di un grande serpente anfibio, le cui teste, nove o più a seconda della tradizione, ricrescevano non appena venivano tagliate.

Anzi nella seconda delle dodici fatiche ordinategli dal re di Argo, Ercole si ritrovò a dover uccidere il mostro che terrorizzava gli abitanti di Lerna, a cui per ogni testa mozzata ne ricrescevano addirittura due. Sfida che Ercole naturalmente vinse, ma a costo di una lunga battaglia campale, anche perché il mostro era dotato di grande astuzia.

Difficile trovare nella tradizione immagine più adatta a rappresentare la sfida che pone al mondo Daesh, quello Stato Islamico la cui sconfitta sul terreno in Iraq e Siria ha portato alcuni, tra cui il presidente Trump, a brindare frettolosamente. La carneficina di cristiani nello Sri Lanka è il cupo richiamo a una realtà che non consente di abbassare la guardia.

La rivendicazione dell’Isis, attraverso il suo sito online Amaq, è corredata da immagini dei kamikaze srilankesi davanti alla bandiera nera dello Stato Islamico. Sino dagli inizi è apparso improbabile che l’Ntj (National Thowheed Jamath), il movimento terrorista locale, finora poco conosciuto, potesse compiere da solo una strage di tale ampiezza e complessità organizzativa. Le frontiere per l’Internazionale del terrore islamista sono porose, permeabili, i militanti si incontrano, il web amplifica e consente coordinazioni planetarie, i nomi dei gruppi cambiano rendendo più complesso il lavoro di intelligence. E nel caso specifico le migrazioni dei lavoratori dell’Asia centro-orientale nei Paesi del Golfo hanno in parte saldato il fronte dell’islam politico più radicale.

Alcune fonti del governo di Colombo hanno parlato di rappresaglie per l’eccidio perpetrato lo scorso 15 marzo in due moschee neozelandesi. Possibile. È tuttavia chiaro che la carneficina di Pasqua non sia stata un fatto isolato. Si iscrive in un’offensiva in atto da anni che ha per obiettivo la distruzione del cristianesimo orientale.

Nel recente stillicidio di massacri, come non ricordare quello di tre anni fa, sempre a Pasqua, in un parco di Lahore in India (una settantina di morti); quello dello scorso anno in una chiesa di Surabaya in Indonesia, il maggior Paese musulmano al mondo; o quello di Marawi, la più grande città musulmana delle Filippine? Senza contare naturalmente l’esodo massiccio e quasi totale della popolazione cristiana fuggita terrorizzata, da quella che fu una delle grandi culle del cristianesimo, l’area della piana di Ninive, attorno alla città irachena di Mosul.

Certo Daesh oggi è orfano del suo califfato, ma il tipo di organizzazione che la contraddistingue, cellule che operano spesso in quasi totale autonomia senza una leadership unica e centralizzata, ne fanno un nemico particolarmente insidioso. Anche perché con la sua efferata spietatezza colpisce ovunque: per i fanatici di Allah non vi sono limiti di ordine etico. I ‘Kafir’, i miscredenti, sono da colpire ovunque e indipendentemente dalle loro responsabilità in quella che viene considerata una guerra di civiltà per estendere il Dar al-Islam, la terra islamica, al Dar al-Harb, area di guerra e conquista, attualmente in mano agli infedeli.

Certo è che le incoerenti politiche occidentali, a cominciare dalle ben note impresentabili amicizie con i Paesi che foraggiano ideologicamente e spesso anche finanziariamente il salafismo jihadista, non aiutano in questa lotta contro il terrore. Contro quell’idra islamista che si nutre, è bene ricordarlo, anche dell’ipocrisia dei suoi nemici. 

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