L'analisi

Il rasoio di Occam

Il ruolo dell'intellettuale e quello del politico secondo lo storico Andrea Ghiringhelli

Ti-Press
1 aprile 2019
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Gianrico Carofiglio, ex magistrato e scrittore di successo, ha scritto un volumetto, “Con i piedi nel fango: Conversazioni su politica e verità”, a cui il presidente Plrt suppongo  si sia ispirato nella replica al mio scritto per  rammentare che in politica c’è talvolta  la necessità di affondare i piedi nel fango. E’ appunto quanto dice lo scrittore barese.  La politica- dice Carofiglio – è fare i conti pure con cose brutte e poco pulite e spesso è necessario entrare nel fango per aiutare gli altri: certo, i piedi sono nel fango ma – aggiunge - la mente deve sempre mirare alla difesa della dignità delle persone e dei valori etici imprescrittibili ; e quei valori non sempre sono stati onorati dalla politica negli ultimi tempi: spesso nel fango i politici ci sono finiti non solo con i piedi, ma anche con tutto il resto. Pure da noi non sono mancati episodi  di razzismo e di fascismo conclamato  a cui i partiti , chi più chi meno, hanno assistito quasi senza batter ciglio, e non è stato uno spettacolo dignitoso.

Nell’articolo “incriminato” (laRegione, il partito come fine o come mezzo, 27 marzo 2019 )  espressi il mio punto di vista e non capisco perché non  ci si possa interrogare, senza suscitare immediate ritorsioni verbali,  per capire perché tanti cittadini hanno qualche motivo di sconforto nei confronti dei partiti e della politica. E magari, nello specifico per indagare le ragioni che hanno spinto parecchi radicali di peso e carisma a togliere il disturbo.

 Nel mio contributo dissi che una buona dose di neoliberismo ha permeato il partito liberale e mi pare incontestabile. Dissi che il neoliberismo è antipolitico perché non persegue il bene comune che è il fine ultimo della politica . Dissi che ciò ha provocato, dagli anni  ‘90, una rapida emarginazione del pensiero radicale che, per diverse ragioni, non si concilia  con la visione troppo liberista.  Dissi pure che qui come altrove si avverte l’avanzata dell’estrema destra, per la quale l’articolo 7 della costituzione federale non vale per tutti. Aggiunsi che certe forme dannose di populismo sono corteggiate dai partiti e tanti slogan ci danno conferma inconfutabile.  Infine, di fronte a un panorama poco incoraggiante in cui i partiti tradizionali non sembrano far da argine all’estrema destra,  dissi che auspicavo finalmente la rigenerazione di una Sinistra redenta che sapesse mettere finalmente a fuoco  il grande tema delle diseguaglianze sociali.  E per ultimo  suggerivo  che fosse opportuno  che una parte comunque importante della sensibilità popolare non fosse esclusa dall’esecutivo per un qualche decimale: perché in questi tempi non troppo felici per la democrazia liberale c’è bisogno del concorso di tutti, e il paese viene prima del partito, sempre.

Si può dissentire ovviamente, ma si dovrebbe farlo senza l’alterigia del politico (un eterno difetto che evoca le tentazioni della casta) che scatta quando un cittadino osa entrare nella casa della politica.Io mi limito ad osservare che la confutazione  delle mie considerazioni è legittima ma, per rispetto dell’interlocutore, si dovrebbe contrapporre ai miei argomenti obiezioni puntuali, rigorosamente “sul pezzo”,  e non generiche affermazioni di una banale ovvietà.  

Bisognerebbe, prima di calar sentenze inappellabili, tener presente quanto  diceva Piero Gobetti, il giovane geniale della “Rivoluzione liberale”, massacrato di botte dai fascisti: “La virtù del dubbio e la sospensione del giudizio, la capacità di dar ragione all’avversario è la migliore preparazione all’intransigenza operativa”. Questo dovrebbe essere il comportamento del politico avveduto: capire le ragioni dell’altro, dialogare e poi decidere. Conoscere per deliberare, suggeriva Luigi Einaudi. 

Recentemente si è scritto molto sul risorgere di una sorta di anti intellettualismo che si palesa in  un atteggiamento di fastidio da parte dei politici, che si scansano e subito sono sulla difensiva. Lo avverto, questo atteggiamento, anche nella risposta al mio modesto contributo. Secondo  Gramsci gli intellettuali sono tutte le persone che pensano e riflettono sulla realtà in cui nuotano. Perché gli intellettuali, danno fastidio e sono spesso sgraditi? Perché il  loro compito – spiega Umberto Eco - non è quello  di risolvere le crisi ma di crearle, di seminare dubbi, di mettere il dito nelle piaghe, di aprire contenziosi.  Tutto ciò presuppone da parte della politica una capacità di  autocritica,  di sentire le ragioni degli altri e poi semmai di cercare le cause dei dissesti. Ma la politica fa fatica ad adeguarsi: in genere non ammette, si giustifica e si rifiuta di vedere quello che gli sta davanti, che non sempre è incoraggiante.

A tal proposito, mi viene in mente il rasoio di Occam, ossia quel principio metodologico che suggerisce, quando si cerca la soluzione a un problema, di prendere in considerazione quella più semplice fra le ipotesi possibili e di recidere, con un taglio netto, le varianti complesse, inutili e troppo fantasiose. Nella replica al mio scritto,  del rasoio di Occam proprio non c’è traccia! Non ci si sofferma sull’ipotesi più semplice e più verosimile,  ossia che gli argomenti addotti non siano poi così frettolosi e che magari  vi sia qualche briciolo di verità da approfondire, con umiltà e saggezza.

 

 Citare Orwell va benissimo, mi rallegro e concordo perché mi conferma una convinzione:  pure io, che appartengo a una generazione passata, sono convinto che la generazione attuale pecchi un pochino, qua e là, di supponenza e dia l’impressione di ritenersi più intelligente della generazione precedente ( a cui anagraficamente appartengo)  . E allora se il mio interlocutore ammette che la sua generazione pecca di troppa presunzione, perché non rinuncia magari a un cicinino di sicumera?   

E pure utile è citare  Ralf Dahrendorf, il grande sociologo scomparso una decina di anni orsono. Ma l’importate è raccogliere il suo avvertimento e non tirarsi la zappa sui piedi: negli ultimi anni il direttore della prestigiosa London School of Economics  si era convinto  dell’inadeguatezza dei partiti,  senza vere prospettive e appiattiti sulla semplice amministrazione del presente, e tutti conoscono la sua famosa descrizione  del partito di oggi simile a un taxi, a un  mezzo di trasporto per condurre gruppi di persone in posizioni di potere: se così è l’importante, siamo tutti concordi, è farci salire le persone giuste. Negli ultimi anni non sempre ci siamo riusciti.

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