L'analisi

L’emergenza che non c’è

Donald Trump ha proclamato lo ‘stato di emergenza’, procedura che gli consentirebbe di ottenere il credito per la costruzione del muro di metallo

19 febbraio 2019
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Vorace e insaziabile, la narrazione sovranista deve continuamente autoalimentarsi. E nessuno lo fa meglio dell’attuale capo della Casa Bianca. Umiliato dal Congresso, che gli ha negato gli otto miliardi di dollari per la costruzione del muro di metallo lungo i 1’600 chilometri di frontiera col Messico (in realtà la cifra basterebbe appena a edificarne un quarto, l’equivalente di quanto già esiste in California, Arizona e Texas), Donald Trump ha proclamato lo ‘stato di emergenza’, procedura che gli consentirebbe di ottenere il credito scavalcando le competenze del parlamento.

Lo ha fatto in una delle più sconcertanti conferenze stampa della sua presidenza, come ha commentato, sarcastico, il ‘New York Times’. Per esempio, sostenendo di non essere affatto spinto da ragioni elettoralistiche, avendo già “realizzato parecchio muro” per l’appuntamento del 2020, e che si tratterebbe solo “di fare più velocemente”. In realtà, nessuna costruzione lungo il confine meridionale è stata realizzata da quando ha assunto la guida della nazione. Ma Trump è Trump, e che sarà mai una bufala in più? Sullo slancio ha affermato che Obama sicuramente “sarebbe entrato in guerra con la Corea del Nord”, e che il premier giapponese Shinzo Abe avrebbe già scritto al comitato di Oslo affinché assegni “quella cosa chiamata premio Nobel” a lui, Trump, più meritevole (sottinteso) del suo predecessore.

Quanto allo ‘stato di emergenza’, prepariamoci a una lunga battaglia legale sulla sua legittimità. L’unico precedente è del 1952, quando la giustizia negò a Truman la possibilità di proibire gli scioperi col pretesto della guerra di Corea. Ma c’è un ma: con le due ultime nomine Trump ha notevolmente spostato a destra la composizione della Corte Suprema, e nulla garantisce che i massimi togati statunitensi seguano l’esempio di 67 anni fa. In ogni caso, qualunque sarà il verdetto della giustizia, sul piano politico non ci possono essere dubbi.

Non esiste l’invasione di criminali-stupratori latino-americani e di tonnellate di droga provenienti dal confine messicano. Le entrate clandestine sono al minimo da tempo; negli Stati Uniti i delitti commessi dagli immigrati senza documenti sono statisticamente inferiori a quelli di persone nate nel paese; l’immigrazione irregolare avviene soprattutto attraverso regolari visti turistici di gente che poi scompare senza lasciar traccia; anche gli stupefacenti (che fanno 30mila vittime all’anno) entrano illegalmente e semplicemente attraverso porti ed aeroporti; “e sappiamo – ricorda la giornalista e scrittrice Rebecca Solnit – che le persone senza documenti sono una parte fondamentale della forza lavoro statunitense”. Basti ricordare che l’impressionante sequenza di stragi e relativi morti non è certo colpa di immigrati, ma di nativi nelle cui mani una legge iper-permissiva, strenuamente difesa dall’attuale presidente, mette armi da fuoco sempre più devastanti.

È fin troppo facile scoprire il gioco di Trump. Un chiaro diversivo elettorale. Ma sbugiardarlo non è mai servito a nulla. Basta che serva alla sua forsennata narrazione sovranista.

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