L'analisi

Abolire i miliardari

Non è andato per il sottile ‘New York Times’ che ha vergato un articolo al vetriolo in cui propugna l’abolizione pura e semplice dei patrimoni miliardari

12 febbraio 2019
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Non è andato per il sottile il “columnist” del ‘New York Times’ che l’altro giorno ha vergato un articolo al vetriolo, documentato e circostanziato, in cui propugna l’abolizione pura e semplice dei “billionaires”, i patrimoni miliardari.

Lo aveva preceduto di qualche giorno un altro influente opinionista del blog Hmm Daily: ci sono – aveva scritto – argomenti sui quali sono necessarie ponderatezza e sfumature. Altri invece sui quali non serve discettare perché sono delle certezze: i miliardari sono nocivi, immorali, creano ingiustizia e compromettono la crescita armoniosa dell’economia e società.

La sventagliata di attacchi frontali agli ultraricchi nella patria di Zio Paperone non è unicamente opera di giornalisti a cui la vertiginosa crescita delle disuguaglianze crea ormai più di qualche prurito. A lanciare una spettacolare offensiva sono in particolare, ma non solo, alcuni alti esponenti liberal del Partito Democratico americano, nomi di spicco quali Bernie Sanders ed Elizabeth Warren, ma anche e soprattutto la ventinovenne deputata di New York Alexandria Ocasio-Cortez. È lei, stella nascente della politica statunitense, a firmare una delle iniziative più radicali di questi ultimi anni: l’innalzamento al 70% delle aliquote per tutti i patrimoni che superano i dieci milioni di dollari.

A chi obietta che si tratta in pratica di un insopportabile raddoppio del carico fiscale per gli ultraricchi, la giovane deputata non ha difficoltà a ricordare che tale aliquota era in vigore negli anni del boom economico, fino alla presidenza di Ronald Reagan. Con punte addirittura del 91% negli anni 50 durante i due mandati del… repubblicano Dwight Eisenhower. Un’epoca che viene ricordata per la crescita dell’economia e la riduzione delle disuguaglianze.

L’immoralità dei patrimoni smisurati viene sempre più denunciata da accademici, a cominciare dal celebre filosofo di Princeton Peter Singer, ma anche da insospettabili personalità, come Tom Steyer, noto investitore in fondi speculativi che ha deciso di devolvere la sua ricchezza al finanziamento di cause progressiste. Si allarga anche tra gli economisti la schiera di quanti considerano ormai nefasta la concentrazione stratosferica di ricchezza.

Gli ultimi dati, resi noti in una ricerca condotta dall’Università di Berkeley, segnalano una situazione fuori controllo, simile – afferma lo studio – a quella creatasi negli anni 20 del secolo scorso: i 400 americani più ricchi (percentualmente lo 0,00025% della popolazione) detengono una ricchezza equivalente a quella di 150 milioni di loro connazionali. Già un rapporto dell’Ong Oxfam il mese scorso aveva denunciato l’esplosione delle disuguaglianze su scala globale, dagli Usa alla Cina o alla Russia.

Gli economisti sono concordi nel ritenere che la struttura stessa dello sviluppo economico, dai software alla robotizzazione, favorisca la concentrazione di ricchezza, dalla Baia Californiana a Pechino, come attesta la crescita esponenziale dei vari Amazon.com o Alibaba.com.

Warren Buffett, uno degli uomini più ricchi al mondo, si era chiesto anni fa, con un interrogativo apertamente retorico, se era giusto che la sua segretaria pagasse percentualmente più tasse di lui. Oggi Buffett ha deciso di devolvere il 99% del suo patrimonio a cause filantropiche. La misura sembra colma e, stando ai sondaggi, la maggioranza degli americani caldeggia ormai misure drastiche per arginare le spropositate disuguaglianze, assieme al degrado ambientale forse il maggior scempio della nostra epoca.

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