L'analisi

Un’Europa al tramonto

Sono due le battaglie in corso in Europa e sull’Europa, una politica e una culturale.

12 dicembre 2018
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Sono due le battaglie in corso in Europa e sull’Europa, una politica e una culturale. Se l’esito della prima è il più incerto – tante sono le varianti in cui si manifesta tra Parigi, Berlino, Londra, Roma, Budapest – della seconda si può forse già dire che il vincitore è un movimento di opinione tanto poco solido e strutturato dal punto di vista argomentativo, quanto ramificato e coeso attorno all’obiettivo di demolire le forme di unità e cooperazione istituzionale che l’Europa si era data nel corso di un lunghissimo dopoguerra. Un apparente paradosso, se si pensa che il progetto di unione era stato concepito proprio per assicurare ai cittadini europei che non si sarebbero ripetute le tragedie portate dai governi che li avevano assoggettati (con il loro entusiastico concorso, va pur detto).

Ma oggi il vento soffia in quella direzione, e un motivo ci sarà. Spiegazioni se ne sono date, e tante. Dall’immancabile “impoverimento del ceto medio”, allo smarrimento “identitario” indotto dal confronto con successive ondate migratorie, alle ricadute di una globalizzazione che ha mostrato la sua vera natura di rapina. Ragioni note e plausibili, ma con riserva e comunque insufficienti a spiegare quel che accade, se si trascura l’elemento ideologico che agisce non solo da amplificatore del disagio, ma lo orienta fornendogli una immagine della realtà scientemente artefatta.

Questo è il tema su cui varrebbe la pena impegnare una riflessione per quanto possibile non pregiudiziale. Perché non si tratta soltanto di sottoporre a critica l’influenza delle nuove forme di comunicazione e dei loro manipolatori (aziende, governi, lobby politiche) sul pensiero comune, ma anche l’arroccamento ideologico che ha attribuito ai vertici istituzionali comunitari una intangibilità a-democratica, da un lato, e fatta apposta per alimentare un disincanto rancoroso, dall’altro.

Su questo secondo aspetto si misurano le contraddizioni dei governi e delle politiche nazionali. Così Emmanuel Macron, per togliersi dall’angolo in cui
l’hanno costretto i gilet gialli, è obbligato ad annunciare misure che eleverebbero il deficit francese a una soglia non consentita dalle norme europee. Abbastanza per farsi bacchettare dai “gilet gialli” al governo in Italia, che gli imputano di promettere ciò che a loro viene rimproverato, non solo dalla famigerata Commissione, ma anche – soprattutto – da governi supposti “amici”, di comune ispirazione nazionalista e di estrema destra. Allo stesso modo, Theresa May, convinta brexiteer, deve cercare in Europa argomenti e alleanze per non soccombere nel voto che determinerà l’uscita del suo Paese (per mero orgoglio nazionalista) dall’Europa stessa. Ed è rivelatore il fatto che abbia (ri)cominciato a farlo partendo da Angela Merkel, vale a dire la politica che più di ogni altro (per rilevanza storica) raffigura l’Europa che prende congedo da sé stessa.

Vento della Storia, o macchinazione che sia (un’Europa in frantumi è nei calcoli, più che nei sogni, di Trump, Putin, Erdogan, più di quanto riescano a immaginare i poveretti che ambiscono ad accomodarsi ai loro piedi o si prestano alle smargiassate di Steve Bannon), in questo quadro manca un elemento che sfugge alla politica e ai beneficiati dall’egemonia culturale “populista”: parliamo cioè di un continente invecchiato, marginalizzato e timoroso delle conseguenze che ciò avrà, in termini di livelli di benessere e di identità. La perdita dei riferimenti culturali, dei grandi sistemi di pensiero politico, se non determinata è stata accompagnata da questa drammatica riduzione dell’orizzonte vitale. I sussulti scoordinati e velleitari e le diverse forme che hanno assunto nei differenti Paesi e in tempi diversi, ne sono uno specchio, seppure deformante (non per nulla gli slogan degli antieuropeisti più accesi si sommano ai pretestuosi richiami alle “radici culturali” europee anch’esse). L’Europa contro cui si scaglia una parte cospicua dei suoi stessi cittadini, insomma, è già una bestia ferita. Le forze che se ne disputeranno i resti non faranno certo distinzione tra chi indossa il gilet e chi no.

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