L'analisi

Putin e il boomerang ucraino

La scaramuccia sul mare di Azov risolleva la questione della Crimea ed esacerba le relazioni internazionali

Keytone
1 dicembre 2018
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Il boomerang ucraino, lanciato da Vladimir Putin nel 2014, sta pericolosamente tornando indietro. La scaramuccia di Kerch ha risollevato la questione della Crimea. Il Cremlino pensava di aver chiuso la pratica sulla penisola contesa con il discusso referendum di quattro anni fa, riuscendo a non farla includere nei negoziati di Minsk (2015) sulla tregua in Donbass. E invece non appena è terminata la costruzione del ponte sullo stretto di Kerch, volutamente troppo basso per fare transitare le imbarcazioni di grandi dimensioni, la bomba ad orologeria sullo status del mare di Azov è scoppiata. Rischiano di essere stritolati i porti di Mariupol e di Berdjansk (le due ‘porte’ del Donbass, la ‘Lombardia’ ucraina). Il colpo assestato all’economia della repubblica vicina sarebbe durissimo. Il 23 settembre un convoglio era regolarmente passato per lo stretto crimeano di Kerch in ottemperanza alle convenzioni. Adesso che è incominciata la campagna elettorale per le presidenziali ucraine del 31 marzo, invece, no. Mosca dà l’impressione di avere l’obiettivo di trasformare l’Azov in un suo mare interno. “I nazionalisti che hanno provocato nel 2014 il conflitto in Ucraina orientale – ha scritto lo specialista tedesco Stefan Scholl – volevano in realtà creare un corridoio terrestre che unisse quell’area alla Crimea, tutto attorno al mare di Azov. Allora gli andò male per la reazione di Kiev”. L’Ucraina ha ora tutto l’interesse ad alzare la tensione dopo che l’edificazione dei gasdotti sotto al Baltico e via Turchia può ridimensionare la sua valenza strategica come transito verso i ricchi mercati dell’Ue. “La penisola è ucraina”, ribadisce Kiev. Nessuno in Occidente ha riconosciuto la sua “annessione”. Il presidente uscente Poroshenko, in notevole affanno nei sondaggi, può beneficiare dall’aggravamento della crisi con la Russia, la quale, è bene non dimenticarlo, non si è mai avvicinata a conclusione. All’Est da quattro anni e mezzo si continua a perdere la vita nella “guerra congelata”: 10’500 morti secondo l’Onu. L’Unione europea – già alle prese con i complessi rapporti con l’America di Trump e la Brexit – si trova così a dover negoziare in una diatriba in cui nessuno dei due contendenti ha intenzione di cedere. Con la prossima uscita Usa dal trattato Inf del 1987 sui missili a corto e medio raggio, Bruxelles avrebbe necessità di un avvicinamento a Mosca. E invece le elezioni europee in maggio, con le ormai immancabili interferenze esterne, sono destinate ad esacerbare gli animi. Diversa è la strategia degli Stati Uniti, che sostengono l’Ucraina in chiave anti-russa, con l’obiettivo di far cambiare al Cremlino il vettore della sua politica estera. Come hanno dimostrato le esercitazioni “Vostok 2018”, Mosca considera Pechino suo alleato contro l’Occidente. Trump, invece, vorrebbe avere Putin al suo fianco in chiave anti-cinese. Washington potrebbe in tal caso essere disponibile a cedere su superate concezioni di mondo diviso in sfere di interesse. Quindi disimpegno da Kiev. Nessuno, però, ha fatto i conti con gli ucraini, che hanno negli occhi la marcia verso la prosperità fatta dai polacchi all’interno dell’Ue. La vera rivoluzione è stata quella del 2004 con l’allargamento europeo ad Est. È venuto il momento di prenderne atto.

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