L'analisi

Sovranisti ognuno per sé

Dov’è finita la fratellanza sovranista, quell’alleanza di nazionalisti eurofobici di cui Matteo Salvini si era addirittura auto-candidato “lìder maximo”

28 novembre 2018
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Dov’è finita la fratellanza sovranista, quell’alleanza di nazionalisti eurofobici, di cui Matteo Salvini si era addirittura auto-candidato “lìder maximo”, convinto di poter unire e rappresentare le truppe dell’assedio a Bruxelles, mentre lui e l’illiberale ungherese Orban si scambiavano calorosi apprezzamenti, definendosi uno il “mito” dell’altro? Che ne è della partnership che doveva saldare Roma, Vienna, la Baviera e l’estrema destra di Alternative für Deutschland al Gruppo di Visegrad, cioè a quella parte di Europa dell’Est che prima ha goduto di tutti i vantaggi economici della generosa accoglienza nell’Ue, per poi negarne il rispetto di decisioni comunitarie e di principi democratici, dalla ricollocazione dei migranti alla indispensabile separazione dei poteri nelle singole nazioni?

Era, fino a una manciata di mesi fa, tutto un fiorire di reciproci complimenti sulla chiusura dei porti, sui muri sempre più alti, sull’idea di censimento dei cittadini rom, sui giudizi sprezzanti nei confronti del presidente della Commissione Jean-Claude Junker e della cancelliera Angela Merkel. E poi l’ammirazione per la Gran Bretagna che, prima nella storia della Comunità, aveva deciso (seppur di misura, nel referendum del 2016) il divorzio dall’Europa (naturalmente “dei burocrati”). Il tutto impastato nella destrutturazione del faticoso progetto europeo dal “pellegrino” Steve Bannon, l’ideologo del trumpismo.

Ora, non che l’amalgama unitario sia del tutto scomparso dai propositi e dal vocabolario dei vari nazionalismi continentali, che si preparano al cruciale voto europeo del prossimo maggio. Tuttavia i fatti sono cocciuti, e dimostrano come il principio di un’alleanza sovranista sia in realtà un ossimoro, una contraddizione, visto che, come è stato rilevato, “l’orizzonte dei sovranisti non può essere che domestico”. Ognuno tiene l’occhio fisso innanzitutto sui propri interessi nazionali.

Così, dopo essersi infilata su una strada che in ogni caso la indebolirà, la Gran Bretagna di Teresa May (insieme all’Italia fanalino di coda della crescita economica nell’Ue) ha dovuto negoziare la Brexit facendo parecchie concessioni a una Unione tutt’altro che arrendevole, ma dovendo misurarsi con una componente euro-scettica per nulla disposta ad avallare segni di “debolezza”.
Così, il governo giallo-verde dei Salvini-Di Maio si è visto bocciare anche dai presunti amici sovranisti la sua manovra economica, pur presentata come una salutare sfida alla Commissione di Bruxelles. Persino l’Afd tedesca, che predica per la Germania l’uscita dall’euro, ha chiesto che Roma rispetti i patti e non dimentichi che l’Italia “senza la flebo dell’Unione europea sarebbe fallita da tempo”.

Infine anche il magiaro Orban e il cancelliere di Vienna, Sebastian Kurz, si sono uniti al coro dei critici rivendicando il rigore dei conti pubblici. Con il secondo che ha addirittura promesso il passaporto austriaco agli altoatesini di lingua tedesca, uno sgarbo ben poco apprezzato dai presunti alleati italiani.

Se non del tutto finito, l’idillio è quantomeno scemato. Ognuno per sé, anche e soprattutto se si è sovranisti. Perché quello che il governo giallo-verde italiano non capisce, o fa finta di non capire, è che sono i singoli governi, anche quelli “amici”, e non la Commissione di Bruxelles, a imporre la legge del proprio egoismo. Mentre soltanto grazie ai presunti “nemici” Merkel e Macron l’Italia potrà forse beneficiare di un compromesso che le salvi la faccia. E, soprattutto, un po’ di tenuta economica.

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