L'analisi

Gilet gialli e giustizia sociale

C’è già chi nel movimento intravede l’espressione di un prurito populista con tracimazioni fascistoidi.

20 novembre 2018
|

C’è già chi nel movimento intravede l’espressione di un prurito populista con tracimazioni fascistoidi. Per intenderci una versione transalpina del trumpismo e del salvinismo (qualcuno, in Italia, ricorderà il movimento dei “forconi”). Così ‘l’Obs’, settimanale della rive gauche parigina che fionda a mo’ di titolo un esplicito “Gilet jaunes, idées courtes”.

“Gilets jaunes, idées rouges” si potrebbe invece sintetizzare il pensiero di Jean-Luc Mélenchon, vanitoso arruffapopolo della sinistra radicale di Lfi (La France Insoumise). I giubbotti gialli del movimento 17 novembre, per il novello Robespierre, costituirebbero il nucleo di una jacquerie spontanea: il Popolo (la P non può che essere maiuscola) sovrano si ribella all’establishment e – come no? – ai “poteri forti”. Qualcuno ricorda però en passant che l’aumento delle tasse sul gasolio, ragione stessa della protesta, era iscritto a chiare lettere nel programma elettorale dello stesso Mélenchon.

E non poteva di certo mancare lei, Marine. L’occasione di salire sul proscenio sotto i riflettori mediatici era troppo ghiotta. I duecentomila e passa giubbotti gialli che hanno inscenato blocchi stradali, sit-in, picchetti sono per Madame Le Pen l’avanguardia del sano e ruvido populismo in stile “tea party” che potrebbe ridare lustro a un’estrema destra fiacca.

La collera anti-tasse non piega comunque il governo. La transizione ecologica ha un costo, non si cambia rotta ha ribadito il premier Edouard Philippe. Chapeau per coerenza e coraggio politico. Il programma è chiaro, votato dai francesi. Non può dunque essere in balia dei venti che soffiano regolarmente alimentati dalla “grogne”, il malcontento, giustificato o meno, di un Paese che necessita di cambiamenti ma che non pare mai disposto a rinunce.

Dopo la partenza polemica del popolare ministro dell’Ambiente Nicholas Hulot, Emmanuel Macron ha voluto recuperare, non senza riservare un pensierino alle europee del prossimo anno, il terreno perso accelerando con l’arma fiscale il progetto di transizione ecologica. Può dunque far specie assistere a manifestazioni contro il caro benzina, mentre nessuna folla si è mai radunata in Francia per l’emergenza ambientale.

Così come non possono lasciare indifferenti dichiarazioni come quella di Jacline Mouraud, la pasionaria dei giubbotti gialli, autrice del video dai 6 milioni di visualizzazioni, che sostiene, impettita, di non voler mollare per nulla al mondo il suo caro vecchio Suv diesel. Come dire: ho il diritto di inquinare come e dove voglio. E pure a costi contenuti.

Ma sarebbe errato pensare che la protesta evidenzi unicamente uno scontro tra virtuosi ambientalisti e folle di ultras delle energie fossili a prezzi popolari. La protesta ci dice qualcosa di significativo sulla spaccatura sociale. In particolare su quella identificata dal sociologo Christophe Guilluy: la frattura tra la Francia urbana (più ricca, istruita e che ha a disposizione servizi pubblici e trasporti efficienti) e quella periurbana e rurale, in buona parte dimenticata dalla globalizzazione. Anche se, come ricorda l’Eliseo, il potere d’acquisto dei francesi è mediamente salito quest’anno (+1,3%), un quarto circa della popolazione non ne ha tratto nessun beneficio.

“Non sono ancora riuscito a riconciliare i francesi con la loro classe dirigente” aveva umilmente ammesso l’altro giorno Macron. Per riuscirci dovrà certamente conciliare anche l’impegno ecologico con la giustizia sociale. 

Resta connesso con la tua comunità leggendo laRegione: ora siamo anche su Whatsapp! Clicca qui e ricorda di attivare le notifiche 🔔
POTREBBE INTERESSARTI ANCHE