L'analisi

Negli Usa la strada per i Democratici è ancora lunga

La conquista della Camera è un risultato importante, ma è presto per aspettarsi una rivoluzione anti-Trump

(Keystone)
7 novembre 2018
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Se una vittoria te l’aspetti, poi non te la godi più di tanto, a meno che non si trasformi in un trionfo. Si spiega un po’ così lo stato d’animo dei Democratici in queste ore post-midterm: da una parte si prende atto della conquista della Camera, quasi fisiologica a questo punto di un mandato presidenziale, e si gioisce per la conquista delle poltrone di governatore soprattutto in Michigan e Wisconsin, divenuti due anni fa stati-simbolo della cavalcata di Trump nel Midwest; dall'altra si incassa l’arretramento altrettanto previsto al Senato e l’incapacità di portare a casa alcune vittorie storiche a livello locale in Texas, Georgia, Florida.

Quasi gol 

In Texas, per esempio, dove il carismatico progressista Beto O’Rourke – in cui molti cercavano un nuovo Barack Obama – si è fermato attorno al 48%, lasciando il posto al Senato all’immarcescibile Ted Cruz. Il ‘Lone Star State’ è culla di quel conservatorismo aggressivo che ha trasformato da decenni il volto del Partito Repubblicano, svincolandolo dalle ovattate atmosfere del New England e costruendo una ‘Right Nation’ in piena regola. Vincere lì dopo trent’anni sarebbe stato clamoroso, e Beto ci è arrivato vicinissimo. Buona notizia per le capacità di penetrazione dei Dem, certo. Ma anche dimostrazione di come Trump sia riuscito, in nome del metus hostilis, a ricompattare un Grand Old Party precedentemente diviso e scontento di un outsider come lui. Ai tempi delle primarie presidenziali, Trump aveva insultato la moglie di Cruz e lo aveva accusato di essere coinvolto nell’omicidio di Kennedy: acqua passata.

In generale, oggi il partito repubblicano appare molto più unito di due anni fa sotto gli stendardi dell’‘identity politics’ trumpiana: quella che si gioca quasi tutta sulla paura dei migranti, delle minoranze etniche e della contestuale erosione del proprio ruolo sociale. Non è detto che questa tattica resti vincente in eterno – l’evoluzione demografica le gioca contro -, ma nel breve termine il “finiremo nelle riserve” rivolto all’uomo bianco rimane una ricetta potente: si tratta di un serbatoio elettorale già oggi relativamente minoritario, ma molto compatto e partecipe (oltre che favorito dalla ridefinizione dei distretti elettorali, spudoratamente favorevole al Gop). Questa politica esaspera le tendenze dell’era Bush e aggrava le divisioni del Paese su tutto: dall’aborto al razzismo, dall’educazione alle politiche sociali. Ma intanto, regge alle urne.

Lo si vede anche in Georgia e Florida, dove una vittoria degli afroamericani Stacey Abrams e Andrew Gillum come governatori sarebbe risultata altrettanto storica. Anche qui i candidati democratici hanno avuto buoni risultati: un paio di punti scarsi di distacco non sono certo un’asfaltatura. Ma non basta. Ed evidentemente non è bastato neanche altrove, come in North Dakota, Missouri e Indiana, riconquistati dai Repubblicani.

I limiti dei Dem

Il che permette di abbozzare due riflessioni: 1) la cooptazione tripartita delle minoranze razziali, dei bianchi ‘che hanno studiato’ e delle ultime riserve di lavoratori sindacalizzati non basta a raggiungere gli elettori dall’altra parte di una barricata sempre più alta, sia a livello culturale che sociale; 2) né l’ala più moderata del partito (Abrams), né quella più progressista (Gillum, sull’onda di Bernie Sanders) hanno trovato una formula così trasversale da essere davvero vincente.

Ferme restando le specificità locali, ancora una volta la mancanza di amalgama identitaria e ‘ideologica’ rimane il tallone d’Achille dei Dem. La sensibilità per i diritti civili e delle donne, sistematicamente oltraggiata da Trump, ha unito molti elettori: lo dimostrano l'elevata affluenza, il sostegno 'dal basso' a molte campagne locali e la netta preferenza delle donne (+20%) per i candidati democratici. Ne è il risultato anche l'elezione di oltre 100 donne alla Camera, per la prima volta. Ma una risposta efficace e univoca alle ricette sociali ed economiche della Casa Bianca rimane di là da venire.

It's (not) the economy, stupid 

Si noti che tutti questi fattori non hanno nulla a che fare con l’economia, che non è oggetto di grande dibattito quando va bene come ora. E va bene da anni, forse più nonostante che grazie alle politiche delle successive amministrazioni: al netto degli scossoni finanziari contano molto di più la stabilità del quadro legale e monetario e la capacità di innovazione, variabili di lunghissimo periodo che la Casa Bianca controlla relativamente. Semmai la “marea crescente che solleva tutte le barche” maschera il fatto che le misure di Trump – sgravi ai ricchi e alle imprese – non favoriscono gli Stati e gli elettori che continuano a sostenerlo.

Camicia di forza

Intanto, però, rimane la vittoria alla Camera. Che non permetterà ai Dem di passare leggi e progetti propri, dato il bicameralismo perfetto e la minoranza al Senato. Ma potrebbe fungere da camicia di forza per alcune delle politiche promesse da Trump: dal muro al confine col Messico all’espulsione di massa degli immigrati clandestini, passando per un piano infrastrutturale che farebbe aumentare ulteriormente il deficit federale, già aggravato dai tagli alle tasse per ricchi e imprese. Meno efficace potrà essere l’opposizione alla politica estera presidenziale: rapporti con la Cina, riforma della Nato, politiche mediorientali e compagnia bella. Per antica tradizione hamiltoniana, questa resta nelle mani del Commander-in-chief. In ogni caso, la maggioranza alla Camera offre ai Democratici un pulpito importante sul quale testare la propria linea, anche di fronte all’elettorato.

Quale impeachment?

L’ultimo interrogativo riguarda il famoso impeachment. Anche perché nei mesi pre-elettorali, come da etichetta, il superprocuratore Robert Mueller non ha fatto trapelare novità sul Russiagate: molti si aspettano che lo farà nelle prossime settimane. I deputati democratici sono già ora favorevoli ad avviare la procedura di impeachment; pur sapendo di non poterla far passare in Senato, vorrebbero puntare sul semplice inizio dei lavori come ‘bacio della morte’ per il presidente, come successe con Richard Nixon. Per riuscire, però, la scommessa deve poter contare su nuovi elementi davvero schiaccianti; lo sa bene la speaker dei Democratici Nancy Pelosi, che infatti per ora frena, puntando piuttosto su altre inchieste parlamentari e sulla richiesta di rendere più stringenti le 'ethics laws'. Non vorrebbe rimediare la stessa figuraccia fatta dai Repubblicani con Bill Clinton, ai tempi di Monica Lewinsky. E regalare a Trump l’‘Arma-fine-di-mondo’ per la rielezione.

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