L'analisi

Licenza di odiare negli Stati Uniti

La strage di Pittsburgh e le lettere esplosive a esponenti dell'area liberal dicono fino a che punto si sia gonfiata la violenza politico-ideologica

(Keystone)
29 ottobre 2018
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Licenza di odiare. Non fosse bastata la serie di lettere esplosive inviate a diversi esponenti politici e intellettuali dell’area liberal, la strage anti-semita di Pittsburgh dice fino a che punto si sia gonfiata la violenza politico-ideologica negli Stati Uniti. E di che segno sia. Parlano, in modo inequivocabile, le statistiche. Oltre il 70 per cento degli omicidi di natura politica viene commesso da estremisti di estrema destra, mentre quasi tutti gli altri sono attribuibili ad attentati della galassia islamico-jihadista. Lo stragismo di matrice politica non è certo una novità nella recente storia americana, lastricata com’è da una lunga serie di attentati firmati dai cosiddetti ‘unabomber’, in genere autori di un terrorismo diretto contro l’autorità politica di ogni colore, contro la burocrazia, e contro lo Stato centrale. Qui sta la differenza. Oggi i bersagli sono rappresentati da gruppi sociali e religiosi che, agli occhi dei killer, rappresentano un ostacolo al ‘suprematismo bianco’: cioè alla rivincita di quella parte di popolazione ‘wasp’ (white, anglo-saxon, protestant) che teme la perdita di un dominio, anche con forti venature razzistiche, che sarà comunque imposta fra pochi decenni, dalla crescita demografica delle minoranze.

L’elezione di Obama, primo presidente afro-americano, fu, per quella fetta rabbiosa d’America, il punto di massima inquietudine, fibrillazione e frustrazione. L’arrivo di Donald Trump, otto anni dopo, il segnale della possibile riscossa: con lo sdoganamento di affermazioni e atteggiamenti e risentimenti che troppo frettolosamente erano stati relegati nella soffitta della storia, non più riproponibili. Ambienti di estrema radicalizzazione verso cui il 45esimo presidente degli Stati Uniti aveva mostrato un atteggiamento di ambigua benevolenza durante la campagna elettorale, così come per Breitbart-News, l’agenzia al centro di continue accuse di razzismo, omofobia, misoginia, da cui Trump ha pescato uno dei suoi principali consiglieri, quello Steve Bannon poi licenziato (ma chissà se davvero allontanato) e oggi corteggiato dai sovranisti europei. Lo stesso Trump che ha flirtato con David Duke, il capo riconosciuto del Ku Klux Klan. Lo stesso presidente che nell’agosto dello scorso anno, commentando gli incidenti di Charlotteville, dove una donna venne uccisa da un estremista di destra, condannò, contro ogni evidenza, la “violenza dalle due parti”. Lo stesso Trump che si è ben guardato dallo zittire i fan che urlavano di gettare la Clinton in galera a poche ore dalla scoperta della lettera esplosiva a lei diretta. Trump non odia gli ebrei, religione a cui si è convertita la figlia prediletta Ivanka in seguito al matrimonio con Jared Kushner, a cui il presidente ha addirittura affidato il dossier Medio Oriente. Ma non sa, il capo della Casa Bianca, o fa finta di non sapere, che, per i suoi sostenitori razzisti, neri ed ebrei sono ugualmente nemici del suprematismo bianco. La semina dei discorsi incendiari, degli avversari politici considerati solo come nemici, dei giornali critici indicati come pubblici bersagli non può non produrre i suoi frutti avvelenati. Anche con la licenza di odiare.

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