L'analisi

Più despoti, più ipocrisia, meno diritti

“Al di sopra della legge?” si interroga ‘The Economist’ con in copertina un Trump dallo sguardo torvo. Un populismo autoritario che avanza non solo negli Usa.

3 settembre 2018
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“Al di sopra della legge?” si interroga a tutta pagina ‘The Economist’ immortalando in copertina un Donald Trump dallo stato d’animo meditabondo e dallo sguardo torvo. Il “j’accuse” del settimanale della finanza londinese evidenzia la deriva di un esecutivo sempre più refrattario alle regole dello stato di diritto.

La grande regressione democratica a cui assistiamo in questi anni non riguarda solo gli Usa. Costituisce un trend globale e come tale gravido di conseguenze umane e geopolitiche. I nuovi “caudillos” del XXI secolo hanno costruito il loro populismo autoritario all’interno di un quadro di riferimento più o meno democratico. Da Victor Orban a Matteo Salvini, da Recep Tayyip Erdogan a Vladimir Putin, da Benjamin Netanyahu a Daniel Ortega, sono tutti riusciti imporsi alle urne. Certo in alcuni casi ricorrendo al terrore (Erdogan), manipolando l’assetto costituzionale (Maduro e Ortega) o eliminando qualche avversario (Putin), ma mai imboccando strade golpiste. Si sono sprecate le analisi sull’emergenza dell’“uomo forte” e sull’indebolimento delle democrazie: secondo quelle più convincenti, spicca il bisogno di sicurezza diffuso tra la popolazione. In estrema sintesi, due le dinamiche sociali alla base della deriva autoritaria. La prima di natura economica: l’impressione tangibile che il processo di ascesa collettiva sia da tempo giunto al capolinea e che il terreno su cui poggia la propria esistenza sia sempre più friabile. La seconda di natura sociale, ben evidenziata dal filosofo sloveno Slavoj Zizek: la paura che l’identità sia inghiottita in un’universalità senza nome. Fanno così presa il trumpiano “Make America great again” o la messa in guardia putiniana, dalla connotazione solidamente machista, contro il multiculturalismo europeo “castrato e sterile”.

L’ascesa degli autocrati contemporanei in questo interregno in cui ci ha posto la mondializzazione, va di pari passo con un forte indebolimento dei diritti umani. Il pugno di ferro dei “despoti democratici” si esercita sugli oppositori e sui più deboli. Donald Trump non esita a spazzar via con un colpo di spugna gli oltre 300 milioni di dollari di aiuti ai profughi palestinesi, l’ex rivoluzionario Ortega non si pone molti problemi a far massacrare gli oppositori e a cacciare dal Nicaragua la commissione d’inchiesta Onu, Maduro assiste compiaciuto allo tsunami di profughi da un Venezuela esangue. Erdogan celebra una democrazia in salsa turca che confina decine di migliaia di oppositori, giornalisti, docenti, avvocati, dietro le sbarre. In nome del popolo si calpestano i diritti e si soffia sulla girandola delle ipocrisie: ultimo della serie l’abbraccio ieri tra l’israeliano Netanyahu, promotore di una legge di stampo apertamente razziale a scapito dei non ebrei, e Rodrigo Duterte. Sì proprio lui, il presidente filippino, l’uomo che si vanta apertamente di violare le regole dello stato di diritto. Lo stesso che non molto tempo fa si millantava pure di voler sterminare i drogati, come Hitler fece con gli ebrei.

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