L'analisi

Accordo di facciata

Nulla di veramente nuovo a Bruxelles. Nulla di nuovo pure al largo delle coste libiche, con l’ennesimo naufragio di disperati saliti su un gommone, che merita ormai tuttalpiù una breve notizia sui media, stanchi e assuefatti.

30 giugno 2018
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Nulla di veramente nuovo a Bruxelles. Nulla di nuovo pure al largo delle coste libiche, con l’ennesimo naufragio di disperati saliti su un gommone, che merita ormai tuttalpiù una breve notizia sui media, stanchi e assuefatti. Così come non occupa grande spazio la decisione italiana di chiudere i porti alle navi delle Ong, condannando – scrive Medici senza frontiere – le persone a rimanere intrappolate in Libia o a morire in mare.

Il vertice maratona del Consiglio europeo è sfociato in un accordo di principio, in un consenso di facciata per poter mostrare 28 volti sorridenti, ancorché provati da 14 ore di discussioni. Per celebrare un passo avanti che in realtà – scrive un commentatore – è costituito solo dal fatto che si è evitato di compiere un passo indietro. L’Europa in bilico si salva in extremis. Ma per quanto? La strategia complessiva si può riassumere nel principio di un rafforzamento delle frontiere europee, nella maggior solidarietà ai Paesi di prima accoglienza, nella creazione di piattaforme Onu nel Mediterraneo meridionale dove sbarcare migranti, nel rifinanziamento di un fondo per l’Africa, e nell’apertura di centri di accoglienza in diversi Paesi dell’Ue.

Buoni propositi, ma non molto di più. Un consenso in ultima analisi inutile, considerando che chi si impegnerà lo farà su “base volontaria”. Come dire che a pasteggiare a Champagne è soprattutto il blocco di Visegrad, quello dei Paesi dell’Est il cui egoismo è pari forse solo alla proclamata xenofobia. Vincono loro anche perché la prospettata riforma delle controverse regole di Dublino (che penalizzano i primi Paesi di sbarco, de facto Grecia, Italia o Spagna) si farà sulla base del diritto di veto. Un no basterà a bloccare un’intesa che possa ridistribuire le carte e gli oneri. Come dire che dalla revisione non ci si può attendere molto, se non ulteriori dissapori.

Giuseppe Conte ritiene che “l’Italia non è più sola” anche perché un nuovo approccio sui salvataggi in mare preconizza ora maggiore solidarietà tra i partner Ue, ma la sua non può neanche essere considerata una vittoria di Pirro: appare solo un piccolo scontato proclama di circostanza. Ben più aderenti alla realtà le parole della cancelliera tedesca, incalzata a casa sua dal mastino Seehofer e dall’onda populista che cavalca il ministro degli Interni Csu: “Restano divisioni” sintetizza l’eufemismo di una Merkel infiacchita, a cui in tanti sulla sua destra vogliono far pagare quel “Wir schaffen das” (ce la faremo) con il quale aveva accolto nel 2015 centinaia di migliaia di profughi siriani.

Oggi il numero di richiedenti asilo in Germania è crollato (è un quinto rispetto a due anni fa). Così come è precipitato il numero dei migranti sbarcati in Europa: poco più di 43mila in 6 mesi contro il milione di tre anni fa. Numeri in calo spettacolare a cui fa riscontro una crescita dell’intolleranza, ma anche delle inquietudini e paure. Comprese quelle inespresse e che condivide silenziosamente anche parte dell’elettorato di sinistra. Timori anche legittimi legati allo sfilacciamento del tessuto sociale, all’indebolimento del Welfare (calamita per i flussi migratori che, se entrano in Europa a sud, lì non rimangono e si dirigono verso nord). Il migrante è il capro espiatorio ideale, l’amo perfetto gettato nell’arena dell’opinione pubblica. I riflettori puntano su di lui, in ombra rimangono altri temi, le cause profonde ed endemiche del malessere sociale. Sul migrante si combatte la battaglia politica. E si consuma, questo è il rischio, lo sfaldamento dei valori senza i quali non potrà certamente sopravvivere l’ideale europeo.

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