L'analisi

Il contrappasso delle (5)Stelle cadenti

Il fallimento dei grillini è avere trasformato in un totem l'onestà, catastrofico arretramento della politica

14 febbraio 2018
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Ci saranno stati anche loro, nel 2016, tra la folla che tributava il grottesco omaggio (o-ne-stà, o-ne-stà) alla salma di Gianroberto Casaleggio? Loro, quelli presi con le dita nella marmellata di scontrini e rimborsi fasulli, su cui è scivolato il movimento 5Stelle a metà campagna elettorale? Può darsi, ma non è in definitiva così importante come vorrebbero far credere i partiti concorrenti; lesti a burlarsi dei Torquemada smascherati come ladri di galline, ad additarli come ciarlatani con il cinico compiacimento di chi può condividere il disonore del proprio vizio, tanto più se ciò può avere una resa elettorale.

Perché, seppure sia vero che i grillini se la sono cercata – chi di purezza ferisce… – e che la loro cialtronaggine non redime un ceto politico guasto, l’avere fatto dell’onestà e della purezza un totem è il sintomo maggiore di un catastrofico arretramento della politica. Hai un bel dire “onestà”: un cretino onesto tale resta, e la sua azione politica lo rispecchierà. Con tutto che c’è ben poco da compiacersi suggerendo che, mettiamo, di un Churchill non si ricorderanno il tasso di onestà (alto? basso?) ma ben altri motivi per cui è rimasto nella Storia.

E dunque oggi la responsabilità e il fallimento dei grillini non sono soltanto l’avere fornito argomenti a chi ritiene che “sono tutti uguali”, come sostenevano anche loro prima di diventare parte del “tutti”; ma piuttosto l’avere fondato il proprio discorso (credendo che fosse il proprio, volendo essere precisi) su un’onestà totemica, ideologizzata, ovvero una falsa rappresentazione della realtà. Perché non è di questo che si occupa la buona politica, quella che con la realtà viene alle mani, e in quel confronto misura la portata della propria visione. La politica di cui c’è disperato bisogno.

Il problema allora è che non potendo venire dai grillini, pur avendo loro stessi alimentato un’aspettativa esagerata, di quella politica non c’è traccia altrove, se non per labili indizi, individualità perse in un indeterminato magma che ribolle di sigle, slogan e figure, di cui non si possono che sottolineare l’ispirazione velleitaria e le pulsioni autoritarie o scopertamente fascistizzanti.

Una campagna elettorale, una pedagogia mediatica egemonizzate dai temi della sicurezza e di una immigrazione fuori controllo (una invasione, nel lessico di chi ne agita lo spettro) non può che produrre scenari favorevoli alla scorciatoia della democrazia autoritaria. Complici inconsistenza e opportunismo dei grillini, da un lato, e il rancoroso suicidio della sinistra, dall’altro, l’esito sarà verosimilmente la rivincita di una destra che dell’estremismo si serve come collante per sanare le proprie divisioni.

Che tale rivincita si tramuti, concretamente, in forza parlamentare sufficiente a governare sarà un discorso da affrontare a tempo debito. Per ora valga la considerazione che se la sinistra si avvia a pagare il conto pressoché definitivo della propria sconfitta storica, i campioni del “né di destra, né di sinistra” si preparano a un contrappasso la cui portata non va oltre la cronaca, i rimborsi, gli scontrini. C’è una bella differenza, ma nessuna consolazione.

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