L'analisi

L’Spd tra identità e responsabilità

Ci saranno davvero un quarto governo Merkel (un primato) e la terza Grosse Koalition, guidata dalla cancelliera?

22 gennaio 2018
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Ci saranno davvero un quarto governo Merkel (un primato) e la terza Grosse Koalition, guidata dalla cancelliera? Meglio essere cauti. Perché se il congresso straordinario dell’Spd a Bonn ha avallato ieri la proposta di rinnovare l’alleanza, è anche vero che si apre ora un’altra trattativa per fissarne il programma comune. Gli ostacoli non mancano: dalle promesse fatte dall’establishment socialdemocratico per convincere la maggioranza dei delegati (forse inaccettabili per la controparte), al referendum con cui una base ben poco entusiasta dovrà pronunciarsi in primavera sul nuovo matrimonio politico già costato la sconfitta in due successive elezioni. Lacerazione ben rappresentata dallo scontro frontale andato in scena sulle sponde del Reno. Da una parte l’anima più istituzionale del partito guidato da Martin Schulz – convinta di dover svolgere un ruolo “responsabile” per la governabilità della nazione –, dall’altra la forte componente ribelle, sicura che la necessità di rinnovamento e rinascita possa concretizzarsi stando all’opposizione e svincolandosi dall’abbraccio della Cdu. Lacerazione interna senza precedenti per importanza e profondità. Certo, gli “Jusos”, la componente giovanile che più si è spesa nella contestazione, non sono nuovi alla protesta interna. Avvenne con Helmut Schmidt per l’installazione degli euromissili anti-Urss; e ancora sul programma economico-sociale di Schröder.

Ma si trattava di un’altra Germania, di un’altra Spd, di un’altra leadership socialista: una nazione senza le attuali divisioni e senza l’estrema destra in parlamento. Sembrava impensabile la discesa dell’Spd agli inferi elettorali; i capi avevano ben altra tempra e autorevolezza rispetto all’ex presidente del parlamento europeo Schulz che ha trascinato il partito a una storica sconfitta e s’è rimangiato la parola (mai più con “GroCo”). Questa volta l’“assalto al palazzo” del partito è stato assai più risoluto e soprattutto giustificato dai rischi che comporta la nuova alleanza con Merkel e dalla tradita promessa post-elettorale di volerla assolutamente cancellare.

Con la maggioranza di misura ottenuta ieri, Schultz non può certo esultare. La sua – e dunque anche quella della cancelliera – sarà una strada tutta in salita. Fra i parlamentari e i vertici dell’Spd ha prevalso anche la convinzione di poter imporre alla Merkel un programma sociale assai più radicale, ma pure il timore che un nuovo voto anticipato avrebbe rappresentato un ulteriore temibilissimo salto nel vuoto, con i sondaggi che danno il partito addirittura al di sotto della soglia del venti per cento. E ha prevalso la volontà di sostanziare il nuovo, non facile, ma indispensabile progetto europeista che il presidente francese Macron ha proposto a Berlino per trascinare l’Ue fuori dalle secche economico-sociali e dall’assedio del nazional-populismo che non ha affatto abbassato le sue vele e, in qualche caso, le sue ragioni. Si era detto che il duello nell’Spd non decideva solo le sorti politiche della prima potenza economica del continente, ma anche il destino dell’Europa. Europa che, in caso di “Grande coalizione”, sarà davvero alla sua ultima occasione.

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