L'analisi

Una ‘zarina’ a Barcellona

30 ottobre 2017
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Un fantasma si aggira per l'Europa. Sotto forma di una domanda: quante Catalogne ci sono sul vecchio continente? Per dire: quante regioni desiderose di indipendenza e non solo di autonomia, e quindi quante potenziali secessioni? Con relativi pericoli di fratture violente. Nonché di scelte intermedie che rischiano di accendere ancor più gli animi, fra potenziali vincitori che agiscono con provocatoria prepotenza e teorici sconfitti che ritengono di subire l’ennesima ingiustizia. Madrid e Barcellona ne sono la rappresentazione più attuale e preoccupante. Infatti, per riportare l’ordine spagnolo nella Catalogna commissariata dal potere centrale, il premier Rajoy sceglie la sua ‘vice’, donna Soraya Saenz de Santamaria, la 46enne avvocatessa che ha plasmato gran parte della sua carriera politica sul duro contrasto alla rivolta della regione economicamente più sviluppata del Paese. Fin dal 2006, quando la ‘zarina’ della destra si propose per guidare la battaglia legale contro il nuovo statuto dell’autonomia allargata, concessa dall’allora governo socialista, e accettata da un referendum regionale. Aspra battaglia contro i nuovi poteri della Generalitat catalana vinta grazie a una sentenza della Corte costituzionale.

Quel legittimo atto giuridico fu politicamente nefasto. Anche perché, in questo scontro fra due nazionalismi, le parti avrebbero man mano perso il filo del dialogo e il controllo della situazione: la Madrid di nuovo a guida conservatrice con la sua studiata e pericolosa passività, e la Barcellona comunque decisa a ritagliarsi spazi sempre più grandi di autogoverno, anche con provocatorie forzature. Fino all’attuale, prevedibile, irrimediabile scontro frontale. E la scelta, evitabilissima, della novella ‘imperatrice Soraya’. L’annunciato voto del 21 dicembre per il rinnovo dei poteri locali rischia di mortificare l’unico passo sensato per tentare di chiarire la situazione. Cioè quello di una consultazione davvero libera, non condizionata, garantita che chiarisca un primo indispensabile passaggio: quanta parte della Catalogna sia oggi davvero per il processo separatista, e quanta invece si accontenterebbe di un ritorno alle forti concessioni autonomiste del 2008. Nodo che le urne di Natale non scioglieranno affatto. Rendendolo anzi ancor più duro e inestricabile. Anche perché si prospetta il boicottaggio attraverso una astensione massiccia dell’elettorato anti-spagnolo, se non addirittura ricorrendo ad elezioni parallele e semi-clandestine. Monito e lezione per un’Ue che, dopo il lungo e irrisolto problema della crisi economica e sociale, deve ora affrontare anche la paura della sua ‘balcanizzazione’. Della sua frammentazione.

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