L'analisi

Questa America ‘prima’ e sola

La presidenza muscolare di Donald Trump
(Evan Vucci)
16 ottobre 2017
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Se si tratta del peggio, il 45º presidente degli Stati Uniti è di tenace coerenza. Così come nella determinazione di picconare il multilateralismo, lui che crede soprattutto nei rapporti di forza. Così, nel giro di pochi mesi, Donald Trump ha compiuto i passi che dovrebbero concretizzare il suo concetto di “America first”, prima, e sempre più sola.

Ha stracciato l’accordo sul clima di Parigi, per poi infilare gli stivaloni del poco verosimile soccorritore negli Stati sconvolti dagli uragani (“i più epici e costosi”, li ha definiti, senza accennare alla possibilità che quei micidiali tifoni in serie siano anche il risultato degli sconvolgimenti climatici). È andato alla tribuna dell’Assemblea generale delle Nazioni Unite solo per denunciarne violentemente l’assoluta inutilità. Ha quindi annunciato il ritiro della superpotenza dall’Unesco, l’organizzazione per l’educazione, la scienza e la cultura (non proprio una novità per gli Usa).

E ha infine compiuto la prima mossa sulla strada della denuncia dell’accordo sul nucleare raggiunto faticosamente due anni fa con l’Iran, passando la patata bollente al Congresso, ma precisando che la parola definitiva spetterà comunque alla Casa Bianca. Decisione condannata da tutti gli altri firmatari (europei, russi, cinesi), che al contrario riconoscono a Teheran il sostanziale rispetto dell’intesa da parte del paese degli ayatollah, che fra l’altro ha accettato ispezioni permanenti e senza precedenti da parte dell’Agenzia internazionale dell’energia atomica.

Il peggior accordo mai firmato da Washington, lo definisce “the Donald”, mettendoci di tutto, dagli esperimenti balistici iraniani (non proibiti dall’accordo), al mancato rispetto dei diritti umani (una gran novità), all’attivismo della potenza sciita su diversi scenari mediorientali.

La verità è assai più semplice: da una parte la stella polare di Trump rimane ossessivamente lo sradicamento della strategia del suo predecessore; dall’altra, si tratta di consolidare una precisa scelta di campo in favore dei suoi due alleati più anti-iraniani, cioè Israele e Arabia Saudita.

Poco importa se nella Repubblica islamica rialzano la testa le correnti conservatrici contrarie al pragmatico presidente Rouhani, se Teheran allenterà la sua pressione sul terreno contro i tagliagole dell’Isis, se il premier israeliano Benjamin Netanyahu tornerà a cullarsi nella pericolosa idea di un attacco preventivo contro l’Iran, e soprattutto se quest’ultimo si sentirà in stato di guerra e dunque autorizzato a seguire “la via nord-coreana” per dotarsi dell’arma assoluta. Ulteriore benzina sull’inesauribile incendio medio-orientale.

È la presidenza muscolare, di cui abbiamo recenti e disastrosi esempi. E a tranquillizzare non bastano certo le inascoltate parole del capo del Pentagono generale Mattis e del ministro degli Esteri Tillerson, difensori dell’accordo con Teheran. Il solito caos alla Casa Bianca.

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