L'analisi

Vienna ‘costretta’ a rivotare. L’estrema destra pregusta la rivincita

2 luglio 2016
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Almeno per una estate torneranno le barriere, fisiche o come materiale di propaganda, al Brennero. Le prometterà Norbert Hofer, campione dell’estrema destra austriaca al quale la Corte costituzionale ha offerto l’insperata possibilità di rigiocarsi la presidenza, imponendo la ripetizione del voto di ballottaggio del 22 maggio scorso, dal quale era uscito vincitore il verde Alexander van der Bellen.
La Corte stessa ha precisato che non vi sono stati brogli, ma irregolarità formali nello spoglio delle schede (in particolare di quelle per corrispondenza). Irregolarità peraltro frequenti, come ha candidamente ammesso il responsabile dell’Ufficio centrale elettorale, ma mai denunciate in precedenti elezioni, e comunque non tali da alterarne il risultato.
Il ricorso del partito della libertà (Fpö), dovuto all’esiguità dello scarto tra vincitore e sconfitto, ha tuttavia imposto ai giudici di agire, e da par loro i giudici hanno agito.
Va da sé che una decisione “tecnica” come quella annunciata ieri non poteva non avere una carica politica dirompente, pur se non modifica lo scenario emerso dalla consultazione annullata: innanzitutto la bocciatura clamorosa dei due partiti che si sono alternati alla guida del governo dal dopoguerra, popolare e socialdemocratico; in secondo luogo, ma forse più significativamente, la netta spaccatura in due dell’elettorato austriaco, con l’estrema destra capace di raccogliere quasi la metà dei voti, contro il blocco verdi-popolari-socialdemocratici in leggerissima maggioranza. Il che significa che in un confronto uno-a-uno l’estrema destra è in grado di batterli tutti.
È dunque da qui che si riparte. Con l’aggiunta di una crescente sfiducia dei cittadini nei confronti delle procedure democratiche (a cui contribuisce un pur esemplare esercizio di trasparenza e correttezza), in uno scenario circostante fragilizzato dal voto britannico a favore della Brexit.
È ben difficile pensare che gli argomenti vincenti a nord della Manica non tornino nella propaganda dei prossimi mesi: quello dell’immigrazione sopra tutti, seguito dall’insofferenza viscerale per tutto quanto sa di Unione europea. La fortuna di Hofer si è costruita su questi bersagli, e non si vede perché il rampante candidato dei nazionalisti non debba tentare di far fruttare il lavoro già svolto da Farage e consimili. Gli stessi tentennamenti, o gli irrigidimenti che le istituzioni europee adotteranno nei confronti di Londra perché sia conseguente con la propria scelta, verranno adottati come argomenti polemici dall’Fpö: il risentimento non è un progetto politico, ma il miglior carburante per i movimenti politici che lo cavalcano.
Nei mesi che mancano alla ripetizione del secondo turno (sarà in settembre o in ottobre), complice la presidenza di turno slovacca dell’Ue, che ha già avvertito di non ritenere prioritaria la riforma degli accordi di Dublino – necessaria tuttavia a riformulare la gestione dell’ondata migratoria –, l’Austria tornerà a essere un laboratorio nel quale testare la forza dell’estrema destra che ormai ovunque sta dando la scalata al potere. Dovesse riuscirvi, il contagio si estenderebbe. E la presidenza, peraltro mai divenuta carica effettiva, di Van der Bellen, resterebbe a significare l’illusorietà di una alternativa non nazional-populista a un sistema di potere ancora solido sì, ma screditato. Le esauste democrazie europee possono finire travolte dal rispetto rigoroso delle loro stesse regole.

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