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Non tocchiamo le dichiarazioni di non riesportazione

In Svizzera l’industria bellica fa pressing. Il Parlamento cerca la quadra. Uno spiraglio c’è per allentare la legge senza intaccare la neutralità

In sintesi:
  • Al momento la legge sul materiale bellico (Lmb) non offre alcun margine di manovra al Consiglio federale 
  • Con una modifica mirata della Lmb, la Svizzera potrebbe sostenere indirettamente gli sforzi di sicurezza dei suoi partner europei
Ieri i missili di difesa contraerea, oggi i carri armati, domani forse i cacciabombardieri
(Keystone)
9 febbraio 2023
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L’offensiva russa in Ucraina sarebbe questione di settimane. I Paesi occidentali scalpitano per rafforzare l’esercito di Kiev: prima i missili di difesa contraerea; ora i carri armati; domani, forse, i cacciabombardieri. La pressione sui fornitori cresce. Anche su quelli svizzeri. E a Palazzo federale l’appello dell’industria d’armamento trova orecchie aperte.

La tedesca Rheinmetall ha chiesto alla Svizzera di rinunciare in futuro a pretendere una dichiarazione di non riesportazione, scrive la ‘Nzz’. Rappresentanti dell’industria elvetica riferiscono che Stati loro clienti vorrebbero essere riforniti anche in caso di guerra. L’ex consigliera nazionale Corina Eichenberger, presidente del Cda di Swiss P Defence (ex Ruag Ammotec), dichiara: "Le regole di esportazione sono così strette e rigide, che ogni azienda deve riflettere se mantenere in Svizzera la produzione e i posti di lavoro". Matthias Zoller, titolare del dossier a Swissmem, dice alla Srf che «l’intero export sembra sul punto di crollare»: occorre dunque parlare anche di forniture dirette ai Paesi Nato. Il consigliere nazionale-lobbista Thomas Rechsteiner (Centro), presidente del ‘Circolo di lavoro sicurezza e tecniche di difesa’, ha già un atto parlamentare in canna.

Siamo abituati a questi allarmi. In passato sono stati regolarmente smentiti. Perché il settore è soggetto a forti oscillazioni: una grande commessa in più o in meno, e il quadro cambia. Gli affari, in generale, vanno a gonfie vele. E una volta superate le difficoltà contingenti nelle catene di approvvigionamento, dovute a pandemia e guerra in Ucraina, nei prossimi anni le vendite cresceranno ulteriormente. Lo ha spiegato alla ‘Nzz’ un esperto del rinomato Istituto internazionale di ricerca sulla pace di Stoccolma (Sipri).

Un problema c’è, però. La legge federale sul materiale bellico (Lmb), inasprita solo pochi mesi prima che la Russia invadesse l’Ucraina, proibisce sia l’esportazione che la riesportazione verso Paesi implicati in un conflitto armato. Il Consiglio federale ha le mani legate. Tanto che dovrebbe subito interrompere le forniture persino nel caso in cui gli Stati Nato fossero chiamati a intervenire – in virtù del meccanismo di sicurezza collettiva del Patto atlantico, del quale la Svizzera approfitta – in difesa di uno dei Paesi membri attaccato dalla Russia di Putin o da chi per essa. La Lmb proibisce addirittura il trasferimento di materiale bellico fabbricato in Svizzera tra un Paese Nato e l’altro.

Qui una breccia la si può aprire. Parliamo di un allentamento mirato della legge, che non faccia a pugni con la neutralità. Che dia al Consiglio federale e/o al Parlamento la facoltà di consentire agli Stati con regimi di controllo dell’export simile al nostro (come quelli della Nato) di scambiarsi tra loro materiale bellico acquistato in Svizzera; e magari anche di colmare lacune nei loro arsenali a seguito di forniture a un Paese coinvolto in un conflitto armato qualificato dall’Onu come ‘aggressione’ ai sensi del diritto internazionale.

Sarebbe una maniera per sostenere gli sforzi di sicurezza degli Stati ‘amici’ (che sono tra l’altro i migliori clienti di Rheinmetall, Mowag e compagnia), e di contribuire indirettamente a rafforzare le capacità di autodifesa del Paese vittima. Senza arrivare ad abolire o a ridimensionare la portata delle dichiarazioni di non riesportazione (come vorrebbero parlamentari di Udc e Plr), né a subordinarne il rilascio o la revoca a decisioni prese in seno all’Onu (è l’idea del Ps). E soprattutto senza dimenticare che non è vendendo armi che la neutrale Svizzera s’è fatta un nome sulla scena internazionale.

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