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Servono dieci mesi di politica vera, non di ‘Decreto Morisoli’

È forte il timore che destra e sinistra punteranno l’azione pre-elettorale su interpretazioni personali riguardo a spese e investimenti. Molto pericoloso

Prova di maturità
(Ti-Press)
31 maggio 2022
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A sole due settimane dalla sua massiccia approvazione popolare i timori che il ‘Decreto Morisoli’ fosse tutto fuorché declamatorio si stanno concretizzando, e a dieci mesi dalle elezioni cantonali non è una buona notizia.

Nella seduta di Gran Consiglio di ieri ha cominciato la Lega a dare il proprio avviso a prova di equivoco. La richiesta, poi respinta, di far tornare in commissione ‘Formazione e cultura’ il rapporto che chiedeva l’aumento a 55 anni dell’età massima per avere aiuti allo studio – rapporto firmato anche dai commissari leghisti – è una dimostrazione del setaccio che userà la destra quando si tratterà di affrontare qualsivoglia aumento di spesa. Anche se tutto sommato piccolo, come il milione di franchi scarso per permettere a più persone soprattutto disoccupate di formarsi, e anche se rivolto al sociale. Con buona pace di chi, soprattutto a destra, in campagna ha sostenuto che non ci sarebbero stati tagli né sarebbero state colpite socialità e formazione.

Anche il Ps ha svelato il proprio programma di fine legislatura. Nella discussione su un innocuo aumento di credito per la pavimentazione e i cigli stradali, il capogruppo Durisch ha lanciato un affondo vero e proprio accusando il plenum – leggasi: la sua maggioranza di centrodestra – di trovare sempre soldi per l’asfalto perché trattasi di voci contabilizzate come investimenti.

Il rischio che il ‘Decreto Morisoli’ diventi protagonista di ogni dibattito parlamentare è presente, e non fa bene a una politica spesso incapace di guardare oltre il proprio naso. Quell’equilibrio che oggi dovrebbe essere fondamentale sia agli occhi dei conti pubblici, sia agli occhi della popolazione sembra lontano dall’essere raggiunto. Il 15 maggio la maggioranza dei votanti ha chiesto a parlamento e governo un occhio di riguardo alla spesa e alla sua crescita, che va contenuta. Ciò deve tradursi nell’individuare delle priorità di azione, in un’analisi su eventuali sprechi, in quel contenimento che i favorevoli hanno sempre definito come un freno e non un taglio alla spesa. Ci sono proposte con un peso specifico diverso, però. Alcune centinaia di migliaia di franchi messe sul piatto per permettere a persone disoccupate o a chi vuole reinventarsi di formarsi non possono e non devono entrare in una linea di conto che guardi solo al risparmio nudo e crudo e alle persone viste come numeri di una calcolatrice. Il preludio non pare essere dei migliori.

Allo stesso modo, anche la sinistra deve fare i conti con una sconfitta che ha fatto male. L’occasione di un dibattito sulla pavimentazione delle strade si prestava a un ragionamento sul fatto che per l’asfalto si trovano i soldi mentre sugli assegni di prima infanzia nel recente passato no? Dice bene Durisch: chi ha sostenuto con forza il pareggio di bilancio subito dopo ha cominciato, chi con più chi con meno accortezza, a proporre iniziative con un peso non indifferente per le casse cantonali. Ma il punto fondamentalmente è uno: il Ticino non si può permettere dieci mesi all’insegna delle interpretazioni personali su cosa sia un investimento o una spesa.

E in questo discorso è coinvolta anche la sinistra: esaurita e sconfitta alle urne la fase della critica, è ora che giunga quella della proposta. Ricordando che pure chi vota a sinistra – piaccia o no – pur non essendo ricco se può pagare meno tasse lo fa, se può evitare una tassa sui posteggi la evita, se può risparmiare sulle targhe pensa al proprio budget famigliare e non a quello del Cantone.

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