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Putin, la favola di Fedro e il film di Ferreri

Cosa c’è di vero nelle tre principali motivazioni con cui il neo-zar giustifica l’invasione dell’Ucraina? Praticamente nulla

(Depositphotos)
3 aprile 2022
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Putin conosce certamente la favola di Fedro "Il lupo e l’agnello". L’ha riesumata per giustificare la sua "operazione militare speciale" in Ucraina. Il lupo, che sta a monte di un ruscello, accusa l’agnello, a valle, di sporcargli l’acqua. Un pretesto per mangiarselo. Il mantra in tre frasi che dal 24 febbraio sentiamo anche da noi – rivestito del nobile intento di "capire le ragioni della Russia" – proviene direttamente dal Cremlino. La Nato minaccia mortalmente la Russia perché si è allargata a est. Il golpe "Euromaidan" del 2014 a Kiev, ordito dalla Nato e dall’Ue, ha instaurato un regime nazista. Questo persegue un genocidio etnico nel Donbass.

Riprendiamo le tre frasi del mantra, ovvero i tre torti dell’agnello cattivo al povero lupo che hanno costretto la Russia, per motivi di sicurezza e umanitari, a intervenire per smilitarizzare l’Ucraina, denazificarla, salvare dal genocidio i russofoni del Donbass.

Nato. Nel 1991 l’Urss e il Patto di Varsavia implodono. Non per un attacco della Nato ma per la disastrosa gestione centralizzata dell’economia e della politica e per la catastrofica occupazione dell’Afghanistan (1979-1989), oltre che per il crollo del muro di Berlino. I tre principali Stati già satelliti dell’Urss (senza la Ddr già aggregata alla Germania occidentale) chiedono l’adesione alla Nato. Si sentono minacciati anche dalla nuova Federazione Russa che si era assicurata tutte le armi nucleari dell’Urss, comprese quelle dispiegate in Ucraina, cui la Russia garantisce di rispettare l’indipendenza e l’integrità territoriale ottenendo in cambio anche di rimanere a Sebastopoli (Crimea) con la sua flotta del Mar Nero. I tre Stati sono ammessi già nel 1991: l’Ungheria (memore di Budapest 1956), la Repubblica Ceca (memore di Praga 1968) e la Polonia, memore del golpe militare del 1981 che il generale Jaruzelski aveva motivato con la necessità di evitare l’invasione sovietica, oltre che di reprimere gli operai guidati da Solidarnosc. Solo nel 2004 la Nato accoglie, su loro richiesta, le ex repubbliche sovietiche di Lituania, Lettonia ed Estonia sconvolte dalla brutalità della Russia contro i separatisti della Cecenia, sua provincia. Nel medesimo anno, due altri ex Stati satelliti (Romania e Bulgaria) aderiscono all’Alleanza Atlantica, mentre ne rimangono fuori, fra le altre, le ex repubbliche sovietiche di Bielorussia, Moldavia, Georgia e Ucraina. La prima rimane legata alla Russia grazie al dittatore Lukashenko. La seconda è uno Stato neutrale, di cui la Russia appoggia una "repubblica" separatista, la Transnistria. La Georgia è invasa dalla Russia nel 2008 in appoggio ai separatisti dell’Abkazia e dell’Ossezia del sud. L’Ucraina è invasa parzialmente dalla Russia già nel 2014: le sottrae la Crimea e arma il movimento separatista del Donbass.

Ogni commento è superfluo. Alla domanda se sia la Nato che aggredisce la Russia o la Russia che aggredisce le ex repubbliche sovietiche non affiliate alla Nato rispondono i fatti. Alla domanda del perché queste repubbliche desiderano aderire alla Nato, la risposta è ovvia.

Golpe "Euromaidan 2014". La Russia offre gas a prezzi stracciati e altri benefici all’Ucraina e al suo presidente Janukovyc, un oligarca corrotto, purché interrompa i negoziati per l’associazione dell’Ucraina all’Ue (non alla Nato). Lui cede al ricatto e centinaia di migliaia di ucraini che si sentono traditi si alternano sulla Piazza Maidan per tre mesi (2013-14), chiedendone le dimissioni. Fra questi anche ultranazionalisti e russofobi che si richiamano sciaguratamente a quelli che si erano associati ai nazisti illudendosi di poter creare uno Stato ucraino indipendente sulle macerie dell’Urss invasa da Hitler. Janukovyc fugge in Russia. Gli succede Poroshenko, altro oligarca corrotto, battuto nel 2019 da Zelensky (74% dei voti), ebreo ucraino di lingua madre russa. Nazista anche lui e pericolo mortale per gli ucraini russofoni? Semplicemente grottesco…

Genocidio etnico nel Donbass. Approfittando del caos seguito alla cacciata di Janukovyc, la Russia, dopo essersi presa la Crimea dove non ha incontrato resistenza, invia uomini e armi nel Donbass per sostenere i separatisti. Questa volta l’Ucraina non ci sta e reagisce inviando lì anche il battaglione Azov, che include gli ultranazionalisti di cui si è già detto. Il conflitto fra i separatisti e il governo ucraino non è però un conflitto etnico e linguistico: dovrebbero capirlo i portavoce comunisti dell’anticomunista Putin, se solo utilizzassero i rudimenti dell’analisi marxista. Il Donbass (carbone, acciaio…) prosperava nell’ambito del complesso militare-industriale sovietico ed è ancora legato al mercato russo più che a quello dell’Occidente. I governi ucraini non riescono a elaborare una politica economica e regionale di modernizzazione, riconversione, diversificazione benefica per l’intero paese, anche perché gli oligarchi competono per i loro interessi: più legati alla Russia quelli del Donbass, all’Occidente gli altri. La Russia utilizza la politica commerciale ed energetica per impedire l’integrazione dell’Ucraina nell’economia e nelle istituzioni europee, esasperare le contraddizioni fra est e ovest del Paese, confortare l’idea che la separazione dal resto della nazione è per il Donbass la scelta più conveniente e addirittura obbligata. Su questo conflitto d’interessi si innesta poi, come per tutti i separatismi, la dimensione etnica, linguistica, culturale, religiosa…

Per concludere. Capire le ragioni della Russia è necessario, se si capiscono però quelle dell’Ucraina. Le veline del Cremlino non aiutano. Servono solo a legittimare le accuse del lupo all’agnello e le brame del primo. Un boccone succulento (Crimea) se l’è già preso. Un altro lo cerca da otto anni (Donbass). Per assicurarsi il più consistente (intera Ucraina) deve prima triturarlo con missili, bombe e carri armati. Putin e i suoi sostenitori dovrebbero però sapere che d’ingordigia si può anche morire. Gioverebbe loro vedere o rivedere un grande film e meditarlo: s’intitola "La grande abbuffata" (Marco Ferreri, 1973).

Questo contenuto è stato pubblicato grazie alla collaborazione con il blog naufraghi.ch

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