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Beat e Lara: diversamente amati, ugualmente campioni

Feuz e Gut-Behrami con il titolo olimpico in discesa e il bronzo in gigante hanno impreziosito delle carriere simili ma vissute in maniera differente.

7 febbraio 2022
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“Ora vediamo”, la frase pronunciata da Beat Feuz poco dopo aver tagliato il traguardo della discesa olimpica e aver visto il suo nome colorato di verde, sinonimo di primo posto provvisorio. Alla fine, anche stavolta sono stati gli altri a starlo a guardare. Anzi ad ammirarlo, prima in pista e poi sul podio, quello olimpico. E non su un gradino qualsiasi, sull’unico sul quale il bernese ancora non era salito nella sua straordinaria carriera, quello più alto, quello in grado di elevare lo status di un atleta da campione a leggenda. Meglio ancora a re, visto che parliamo della disciplina regina, della quale il quasi 35enne (tra tre giorni) di Schangnau è ormai uno dei più grandi interpreti della storia, se non il più grande.

Sì perché con il trionfo di Pechino, “Kugelblitz” ha vinto tutto quello a cui poteva ambire: titolo a cinque cerchi appunto, oro iridato – nel 2017 a St. Moritz davanti tra l’altro a sua maestà Roger Federer, accanto al quale Feuz si è guadagnato di diritto un posto nella valle dei “King” dello sport rossocrociato –, quattro globi di cristallo della specialità (filati, nelle ultime quattro stagioni) e rimanendo in Coppa del mondo, tutte le prove più iconiche (e difficili) del Circo Bianco, in primis la Streif di Kitzbühel e il suo Lauberhorn di Wengen. E nel 2012, ha pure sfiorato l’inimmaginabile per un atleta al via praticamente solo nelle discipline veloci, con il trionfo nella generale “rubatogli” da Marcel Hirscher per la miseria di 25 punti.

Il trionfo olimpico per Feuz rappresenta la chiusura perfetta del cerchio, come quello disegnato a fine gara dal suo sci destro, lanciato verso l’alto e acchiappato al volo come solo Didier Cuche sapeva fare. E il paragone non è casuale, perché per quanto a livello di palmarès il bernese sia ormai uno scalino sopra anche al neocastellano – fermatosi (si fa per dire) all’argento olimpico in superG, a cui si aggiungono comunque l’oro mondiale e una coppetta nella stessa disciplina, nonché quattro globi di discesa e uno in gigante – e per quanto i due abbiano caratteri completamente diversi (pacato e introverso il primo, estroverso ed esplosivo il secondo), entrambi sono entrati nei cuori dei tifosi, elvetici e non solo.

D’altronde, come non innamorarsi di una ragazzone dell’Emmental vincente e sempre disponibile nonostante un destino non sempre benevolo, anzi. Basti pensare a tutti i guai fisici che lo hanno spesso costretto a un lavoro extra, nella maggior parte dei casi non sufficiente a permettergli di lanciarsi sui pendii di mezzo mondo senza dolori, prima e dopo lo sforzo. Tallone, schiena ma soprattutto ginocchia, con un’infiammazione ossea che nel 2013 lo aveva addirittura portato vicino all’amputazione di una gamba. Ma lui non si è fermato, ha lavorato il doppio e imparato a gestire il suo corpo, in modo da poter esprimere tutto il suo immenso talento quando serviva. Come ieri a Pechino, quando su una pista tra l’altro nuova e quindi sulla quale partivano tutti alla pari, più che l’esperienza è stato l’istinto del campione, anzi del re, a regalargli il successo e forse l’emozione più grande della sua carriera. L’oro? No, una videochiamata a sorpresa della compagna e della figlia, oltre alla secondogenita nata poche settimane or sono. E allora sì, che anche l’introverso “orso” bernese non è riuscito a trattenere le lacrime, mostrando un lato che ce lo fa amare ben oltre l’immensità sportiva.

Una connessione emotiva che, inutile nasconderlo, non si è forse mai creata con Lara Gut-Behrami, vuoi per la sua tendenza a chiudersi nei momenti difficili senza tuttavia riuscire poi ad aprirsi e a lasciarsi andare del tutto (perlomeno non davanti alle telecamere) nemmeno in quelli belli, vuoi per l’incapacità (e l’impossibilità) delle persone di vedere oltre quello che la 30enne di Comano mostra. Questo però non toglie nulla alla straordinarietà di ciò che la ticinese è in grado di fare in pista e che la sta portando a sua volta verso la vetta dell’Olimpo dello sci mondiale, dove ha pure lei un posto già assegnato. Il bronzo conquistato sulle nevi di Yanqing in gigante è infatti solo l’ultimo acuto di una carriera che l’ha vista conquistare lei sì una generale di Coppa del mondo (nel 2016), oltre a tre coppette di superG e otto medaglie iridate, tra cui due titoli mondiali (sempre superG e proprio in gigante, l’anno scorso a Cortina). Con il terzo posto di ieri ha bissato il bronzo centrato otto anni or sono ai Giochi di Sochi, accogliendolo però con un sorriso figlio del fatto che è arrivato in maniera in parte inattesa e nella disciplina a cui tiene maggiormente, ma anche di una maturazione pure nel suo caso passata attraverso fasi complicate, in particolare il grave infortunio del 2017 e le tre difficili stagioni successive. Questo non vuol dire che se non dovesse ottenere il risultato che spera (conoscendola, il titolo, a maggior ragione ora che è la favorita numero uno) l’11 e il 15 febbraio rispettivamente in superG e in discesa, non la vedremo arrabbiata. Ma in fondo Lara è fatta così, prendere o lasciare. Noi prendiamo. E intanto applaudiamo due immensi campioni che ancora una volta stanno trascinando lo sport rossocrociato.

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