Commento

Disinformazione, il vero scopo del ‘no’ agli aiuti ai media

Il pacchetto del Consiglio federale non è perfetto, ma è lo spirito della legge ciò che conta: preservare lo spazio per un sano dibattito democratico

Si vota il 13 febbraio
(Ti-Press)
5 febbraio 2022
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Che sia proprio l’Udc a proclamarsi paladina della cittadinanza contro le presunte ambizioni dei grandi gruppi editoriali stride parecchio: nelle votazioni del 13 febbraio la destra populista combatte il pacchetto di aiuti ai media, mentre difende a spada tratta gli interessi dell’industria del tabacco. Questo, tra l’altro, dopo essersi schierata di recente dalla parte dell’industria del petrolio, di quella delle armi e di tanti altri ‘big’, che sono perlopiù i suoi principali sostenitori.

Se poi si tiene conto del fatto che a breve saranno sempre costoro a promuovere l’iniziativa che mira a ridurre il canone radiotelevisivo a 200 franchi, risulta chiaro che le motivazioni di questa ferrea opposizione al pacchetto di aiuti ai media non riguardano né l’indipendenza dei giornali, né tanto meno le sovvenzioni ai grandi editori. L’obiettivo non dichiarato è l’indebolimento del sistema mediatico del Paese, privato o pubblico che sia. Il gioco è chiaro, ma non per questo meno perverso: una volta abbattuti i “muri di protezione” del giornalismo serio e affidabile, verrebbe liberato il campo alla disinformazione più spinta, terreno fertile per la divulgazione di un’ideologia al soldo dei poteri veri, economici e non solo, detenuti da un’élite, che oggi i contrari agli aiuti ai media affermano di voler contrastare.

Per carità: il pacchetto voluto dal Consiglio federale e approvato dal parlamento non è perfetto. Come spieghiamo qui, anche i grandi gruppi editoriali svizzeri ne beneficerebbero. D’altronde questa legge, come tutte, è il frutto di un compromesso: pensare che sia possibile giungere a un’intesa che escluda i grandi è irrealistico. Ciò che conta, potrebbe dire Montesquieu, è lo spirito della legge. Qui quello spirito è molto chiaro: garantire la sopravvivenza delle testate di piccole e medie dimensioni, soprattutto quelle attive nelle regioni periferiche che si rivolgono a delle minoranze linguistiche come la nostra. La chiave di ripartizione degressiva degli aiuti (maggiore è il fatturato, minore è il contributo), in ogni caso limitati a sette anni, garantisce la realizzazione di tale principio.

Un esempio concreto di ciò che s’intende quando si afferma che un ‘sì’ al pacchetto a favore dei media vuol dire essere a favore della libertà d’opinione, lo si può trovare sull’edizione de ‘laRegione’ dello scorso 15 ottobre: quel giorno il nostro editoriale criticava l’iniziativa democentrista, poi approvata dal Gran Consiglio, che costringe lo Stato a raggiungere il pareggio di bilancio entro la fine del 2025. Sempre in prima pagina, il presidente nazionale dell’Udc Marco Chiesa spiegava come, dal suo punto di vista, il calo demografico in atto in Ticino sia un effetto indesiderato della libera circolazione delle persone. Il suo pezzo partiva dalla prima e “girava” a pagina 15, dove si potevano anche leggere l’opinione del deputato dell’Mps Matteo Pronzini sulla politica ospedaliera, le argomentazioni della granconsigliera liberale-radicale Natalia Ferrara sul perché avesse deciso di partecipare alla manifestazione contro l’aggiramento del salario minimo, e in coda le riflessioni del già consigliere di Stato popolare-democratico Fulvio Caccia a proposito delle polemiche sulle antenne telefoniche.

Lo spazio per un sano dibattito democratico c’è, e appartiene a tutti. Ora va preservato.

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