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Ucraina, il nuovo teatro del conflitto Est-Ovest

Le velleità neo-imperiali di Putin da un lato, la necessità di riscatto (dopo il rovescio afghano) della superpotenza americana dall’altro

Soffiano venti di guerra (fredda?) al confine con la Russia
(Keystone)

La guerra combattuta è storicamente preceduta dalla guerra verbale. L’impennata della tensione in Ucraina ci pone di fronte all’eterno dilemma delle fake news. La situazione appare esplosiva, i toni salgono alle stelle, ma scremare tra falsità e verità appare operazione impraticabile. D’altronde già Otto Von Bismarck, cancelliere di ferro nonché campione degli aforismi, amava ripetere che “non si dicono mai tante bugie quante se ne dicono prima delle elezioni, di una guerra o dopo una battuta di caccia”.

Se Washington non ha molto da insegnare in materia di trasparenza, Mosca occupa indubbiamente il primo gradino del podio delle menzogne che da anni incendiano quell’area di instabilità, schiacciata tra la Russia e l’Europa occidentale. L’annessione (illegale) della Crimea strappata nel 2014 all’Ucraina e il sostengo militare dato subito dopo agli indipendentisti del Donbass in secessione contro Kiev, costituiscono i segnali più tangibili delle velleità neo-imperiali di Vladimir Putin. Con la cortina di ferro spostatasi a oriente dopo il crollo del muro di Berlino e la scomparsa dell’Unione Sovietica, l’Ucraina, terra di mezzo, Paese dalle due anime (una russofona e filo-russa ad est, l’altra eurofila ad occidente), è teatro del nuovo conflitto Est-Ovest.

Non ci sono prove certe che fu Mosca a cercare di eliminare con la diossina nel 2004 il filo-occidentale presidente Juscenko, ma quell’avvelenamento inaugurò la lunga serie in cui vennero colpiti gli avversari di Putin, da Alexander Litvinenko a Alexei Navalny. L’ex tenente colonnello del Kgb, ora presidente, non rivendica ovviamente mai la paternità dei crimini. Così come gli Stati Uniti non hanno mai ammesso di aver gettato olio sul fuoco durante le manifestazioni di piazza Maidan represse nel sangue da Viktor Janukovic, campione assoluto del ladrocinio ai danni dello Stato, arricchitosi a dismisura, costretto a fuggire a gambe levate e a riparare dall’amico moscovita. La Russia, denuncia il presidente Zelensky, ha ammassato le truppe alla frontiera e sarebbe pronta a invadere l’Ucraina. Putin non vuole la Nato alle sue frontiere: il dispiegamento di armi sofisticate trasformerebbe Mosca in un bersaglio a soli cinque-sette minuti di missile ipersonico. Jens Stoltenberg replica ricordando che la Nato, di cui è segretario generale, è un’organizzazione puramente difensiva. Le accuse russe sarebbero solo un pretesto per giustificare una guerra: le aggressioni militari come ha ricordato il segretario di Stato americano Antony Blinken, sono tutte di matrice russa.

Vista dall’ottica moscovita, la presenza degli americani nel suo “giardino di casa” equivarrebbe a una presenza delle truppe di Mosca in Messico. Attacco militare imminente e destabilizzazione interna già in atto: il governo ucraino chiede la protezione occidentale. Gli Stati Uniti non abbandoneranno Kiev, promette Blinken memore dell’ammonimento di Churchill dopo gli infausti accordi di Monaco (“tra la guerra e il disonore hanno scelto il disonore. E avranno la guerra”). Il capo della diplomazia americana sembra voler riscattare l’immagine della superpotenza dopo il rovescio afghano. Un forte crescendo di retorica con rischi reali di tracimazioni armate, anche perché la Russia sotto forme più o meno larvate, il conflitto in Ucraina lo conduce da ormai sette anni.

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