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Quelli col poster di Ronald Reagan

L’iniziativa per contenere la spesa pubblica è l’ennesimo proclama di chi ancora crede a ricette obsolete, screditate quasi ovunque

(Google)
21 ottobre 2021
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Fermi agli anni Ottanta, col Commodore 64, il succhino Billy e il poster di Ronald Reagan appeso in cameretta: non riesco a figurarmeli altrimenti, quelli che ancora mitizzano l’ideologia del decennio da bere, convinti che la spesa pubblica sia il male, lo Stato il problema e il taglio delle imposte il modo migliore per rilanciare l’economia. Eppure i giornali di ieri riportano titoli d’epoca: ‘Spesa, sì al freno Udc’, ‘priorità ai tagli di spesa’ e così via. Viene voglia di guardare la pagina dei cinema, controllare se stiano passando ‘Top Gun’ e ‘Ritorno al futuro’.

Ma allora la vecchia DeLorean deve avere per forza una targa ticinese, o comunque svizzera. Tutt’attorno i tempi sono cambiati: negli Usa il presidente Joe Biden promette migliaia di miliardi di investimenti pubblici. Lo stesso si decide nell’Unione europea. Non solo le permanenti carenate di Margaret Thatcher, ma perfino l’austerity alla bavarese imposta dopo il 2009 ha fatto la fine del Vhs. Non stupisce, visto che l’ossessione del risparmio ha già trasformato più d’una recessione in depressione, mentre il feticcio dei tagli – pardon: ‘sgravi’ – fiscali ha fatto sgocciolare ben poco di quella ricchezza che mirava a creare.

E noi, invece? Noi ‘meno spesa’, altrimenti il poster di Reagan piange sangue. Il Gran Consiglio ha approvato un’iniziativa Udc che chiede di raggiungere il pareggio di bilancio entro il 2025 agendo ‘prioritariamente’ sulle uscite. In pratica, ci si impegna a pareggiare i conti senza toccare le imposte. Il che potrebbe anche sembrare un’idea condivisibile, se solo il gettito fiscale non fosse già messo a rischio da debolezze strutturali, dalla pandemia e dagli sgravi (inclusi, se passassero, quelli che il Plr ha proposto per i più ricchi). Col rischio, pur di chiudere a zero, di dover limitare la spesa al punto da azzoppare servizi e sostegno sociale.

Per carità, non staccheranno da un giorno all’altro l’ossigeno ai malati per risparmiare, non si rivenderanno le lavagne scolastiche su eBay, insomma non siamo alla macelleria sociale paventata dai più apocalittici: ogni misura di risparmio dovrà ancora affrontare un legislativo già diviso ed eventualmente le urne, tra il dire e il fare ce ne passa. Questa però è l’ennesima pennellata d’un vedutismo politico aggrappato al passato, o peggio ancora furbescamente succube di questo o quell’interesse privato. Un trompe-l’oeil da pittori della domenica, visto che i problemi del tessuto economico ticinese – salari bassi, scarso valore aggiunto, rapaci assortiti – non dipendono certo da un ruolo pachidermico del settore pubblico. Ancora una volta vince, oltre al neoliberismo più tradizionale e prevedibile, l’intarsio tra la retorica populista e i veri interessi di chi le dà fiato: quelli che dipingono gli impiegati pubblici come ‘fuchi’ e lo Stato come mostro pur di operare con la massima spregiudicatezza.

Qualche furbetto che spreca i soldi dei contribuenti per gavazzare a Dom Pérignon ci sarà poi di sicuro. E sarebbe assurdo offrire un assegno in bianco all’amministrazione, senza preoccuparsi di come funziona e spende le sue risorse. Ma in ultima istanza quel controllo spetta proprio al parlamento che ora, invece di esercitarlo puntualmente, preferisce lasciarsi ingabbiare dall’ennesimo proclama, più obsoleto d’un Commodore.

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