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L’importanza di chiamarsi Orbán

Il premier ungherese apparecchia la giornata perfetta, per lui, tra leggi omofobe e sfida calcistica al Portogallo. A tradirlo sarà sempre Orbán

Viktor Orbán allo stadio (Keystone)
19 giugno 2021
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La giornata perfetta non esiste, nemmeno se la scegli e la programmi nei minimi particolari, nemmeno se governi un Paese in cui ogni tuo desiderio è un ordine. Insomma, nemmeno se ti chiami Orbán. C’è sempre qualcosa che sfugge dal controllo. D’altronde, si sa, il diavolo sta nei dettagli, anche - o forse soprattutto - se giochi a fargli concorrenza.

Aveva organizzato tutto per bene, Orbán, a cominciare dalla data, quella di Ungheria-Portogallo, esordio della Nazionale a Euro 2020.

Quale momento migliore per un remake magiaro del “panem et circenses” latino? L’arena - chiamata col nome dell’eroe moderno, l’attaccante Ferenc Puskas - stracolma di tifosi come da nessun’altra parte d’Europa; poco più in là il Parlamento pieno di deputati che sanno cosa votare per compiacere il leader. Bisogna fermare, con le buone o con le cattive, Cristiano Ronaldo e pure Harry Potter, che non è il soprannome di una qualche talentuosa promessa portoghese, ma proprio il maghetto di J.K. Rowling.

La decisione di riempire lo stadio fino alla massima capienza, ovvero 60mila posti, è sempre di Orbán, che ha fatto vaccinare gli ungheresi a rotta di collo con i primi vaccini a portata di mano (russo e cinese) senza badare troppo a eventuali effetti collaterali. L’importante è che i tifosi si vedano bene, uno sopra l’altro, sugli spalti, rigorosamente senza mascherine, per celebrare la grandeur ungherese davanti al resto d’Europa. Poi quel che accadrà dopo chissà: tifosi trattati come le finte facciate che mettevano in Unione Sovietica quando passava Stalin. Portati lì per fare colore e poi abbandonati al loro destino.

Mentre gli ungheresi iniziano ad affollare lo stadio o si mettono davanti alla tv, il Parlamento approva la legge che vieta la “promozione” dell'omosessualità verso i minori. Una misura retrograda e insensata a più livelli - criticata sia da Amnesty International che dalle Ong locali - che limita fortemente la libertà d’espressione e i diritti di adolescenti e bambini.


Willi Orban stende in area il portoghese Rafa Silva (Keystone)

A promuovere la legge è stato il partito Fidesz, che è sempre Orbán. L’opposizione è stata lontana dall’essere strenua: con 157 voti a favore, qualche astenuto e un solo contrario. Il testo dice così: “Al fine di garantire la protezione dei diritti dei bambini, non devono essere messi a disposizione delle persone di età inferiore ai diciotto anni la pornografia, i contenuti che raffigurano la sessualità fine a se stessa o che promuovono la deviazione dall'identità di genere, il cambiamento di genere e l'omosessualità”. In base alla legge, quindi, una pubblicità come quella lanciata dalla Coca Cola nel 2019 che promuoveva l’amore gay in Ungheria sarebbe vietata, ma vale anche per film e libri molto meno espliciti. Una tv ungherese ha fatto una prima lista di ciò che non potrà più programmare a cuor leggero: tra i vietati ai minori di 18 anni che non potranno andare in onda prima di mezzanotte ecco il temutissimo Harry Potter, il ballerino Billy Elliot, la supersingle Bridget Jones, gli amici di Friends.

Per concludere la giornata perfetta dell’uomo forte d’Ungheria serviva un successo allo stadio di Budapest, ma con il risultato in bilico fino a sei minuti dalla fine, la disfatta prende la piega e soprattutto il nome che non doveva prendere: Orbán. Non Viktor, ma Willi, difensore centrale della nazionale, che prima devia in porta il tiro di Raphael Guerreiro e due minuti dopo, con almeno il pareggio ancora possibile, stende in area Rafa Silva. Rigore: 2-0. Arriverà anche il terzo, poco dopo. L’Ungheria ha perso e il nome che risuona nelle orecchie di tutti è Orbán.

Forse era la partita da mandare in onda dopo mezzanotte.

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