Commento

Scozia, il tassello più pregiato del Regno disunito

La Brexit ha dato risposte facili a un problema complesso: per questo sarà difficile dire no a un nuovo referendum scozzese e alla riunificazione dell'Irlanda

Sotto il cielo di Scozia (Depositphotos)
15 maggio 2021
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La Brexit è diventata un’anomala partita a Jenga. Nella versione britannica studiata da Boris Johnson, quando sfili via un tassello non è la torre a venire giù, ma è il tassello che rischia di sfaldarsi.

La torre, ovvero l’Unione europea, è piena di problemi, ma non sembra sul punto di perdere altri pezzi, casomai di aggiungerne (tra un bel po’ e senza troppa convinzione) in area Balcani: dalla Bosnia all’Albania, passando per il Montenegro conteso dai soldi di russi e cinesi.

Il tassello più pregiato, la Scozia, arriverebbe proprio dalla balcanizzazione del Regno Unito, certificata dall’esito delle ultime elezioni locali. Ma se a Edimburgo la rivoluzione si fa a colpi di carte bollate, in Irlanda del Nord la mimetica dal guardaroba non l’ha mai tolta nessuno. Se aggiungiamo che il Galles ha votato, lui solo, il partito laburista sonoramente sconfitto in Inghilterra, il quadro - decisamente dadaista - è presto fatto.

Il Regno disunito è ormai una realtà. Gli inglesi si erano espressi con entusiasmo sulla Brexit e non hanno cambiato idea: premiano Boris Johnson oltremisura, anche nelle roccaforti Labour. Resiste Londra - che del Regno è capitale e capitolo a sé - e alcune città ex operaie dall’anima bastian contraria come Newcastle e Liverpool. L’Inghilterra profonda, quella dei sussidi, delle tute in acetato e dei negozi “tutto a 99 centesimi” rema con convinzione dalla stessa parte, via dall’Europa. Il Galles è troppo piccolo, povero e ininfluente per poter avere voce in capitolo, ma contribuisce alla schizofrenia del dopo-Brexit. Non è un caso che non abbiano sfondato proprio lì, i Tories, diventati una specie di Lega Nord italiana dei primordi, fortissima in un’area circoscritta, quella che conta, ma incapace di parlare a tutti. Questa mancanza di dialogo sta creando un solco sempre più profondo all’altezza del Vallo d’Adriano e del Mare d’Irlanda.

Il voto in Scozia non è stato quel plebiscito che gli indipendentisti auspicavano, ma è stato un segnale inequivocabile arrivato da chi la Brexit non la voleva. Certo, nel 2014 la spinta secessionista non fu abbastanza forte per vincere il referendum, ma era davvero un altro mondo. La promessa all’epoca fu “niente più referendum per almeno una generazione”, ma in sette anni di generazioni se ne sono già bruciate un paio, i giovani che un lavoro non lo trovano e i loro padri che il lavoro lo perdono.

La Brexit ha dato risposte facili a un problema complesso, ignorando specificità di scozzesi e nordirlandesi. Per questo sarà difficile dire no a un nuovo referendum, per questo sarà difficile - per quanto pericoloso - fermare il processo di riunificazione dell’Irlanda. Proprio in questi giorni sono stati puniti i responsabili della strage di Ballymurphy (un fatto del 1971), mentre Londra si affretta a dare un colpo di spugna ai Troubles con una specie di amnistia che a Belfast non piace a nessuno, soprattutto ai cattolici. Il confine economico piazzato nei porti dell’Ulster per evitare di mettere una vera frontiera in Irlanda è il minore dei mali di un calcolo fatto malissimo. E infatti sono ripartiti scontri e rivendicazioni.

Una volta si diceva: “Nebbia sulla Manica, il continente è isolato”. Ora Londra, sulla Manica, allestisce pittoresche battaglie navali con i pescatori francesi, dimostrando di essere sull’orlo di una crisi di nervi. Con l’ulteriore rischio di trovarsi presto ancor più isolata, se non addirittura circondata, indipendentemente dal meteo sul Canale.

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