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La guerra fredda di Vladimir , avvelenatore di mutande

Navalny ha dalla sua una straordinaria tenacia e un coraggio senza pari

Alekseij Navalny (Keystone)
8 febbraio 2021
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“Ci furono Alessandro il Liberatore o Jaroslav il Saggio, ora abbiamo anche Vladimir l’avvelenatore di mutande”. Alekseij Navalny riesce a fiondare poche parole imbottite di amaro sarcasmo all’uscita dell’aula di tribunale prima di essere rinchiuso di nuovo nelle carceri della Matrosskaya Tishina di Mosca. La condanna ha il sapore della vendetta in puro stile putiniano e i contorni grotteschi degni di un romanzo di Gogol. All’oppositore numero uno del presidente sono stati inflitti oltre tre anni di carcere per non essersi presentato al giudice di sorveglianza per una precedente condanna, per altro bocciata dalla Corte Europea dei diritti dell’Uomo. In realtà Navaly era in convalescenza in Germania dopo essere stato avvelenato dal Fsb, i servizi di sicurezza eredi del Kgb. Secondo la ricostruzione del sito di inchiesta Bellingcat e per ammissione di un esponente degli stessi servizi segreti, fu un sicario del Fsb a impregnare con del Novichok, un gas nervino già usato per avvelenare l’ex agente del Kgb Sergej Skripal, gli slip di Navalny mentre questi si trovava in trasferta in Siberia.

Navalny, 44enne avvocato e blogger, è tutto fuorché uno stinco di santo. Il dissidente più famoso del mondo ha in effetti trascorsi molto opachi, che ondeggiano tra l’estremismo nazionalista e xenofobo (come numerosi altri celebri politici russi da Eduard Limonov a Aleksandr Dugin) e le correnti più liberali (militò nel partito Yabloco). Ma oggi, apparentemente pentito per le sue tracimazioni estremiste, si presenta come un vero democratico, fustigatore di un sistema corrotto, clientelare e pure assassino, come sembra in effetti confermare la lunga lista dei morti ammazzati, dalla giornalista Anna Politovskaja (freddata il 7 ottobre di 15 anni fa, il giorno del compleanno di Putin), a Alexander Litvinenko ucciso dal polonio radioattivo, a Boris Nemtsov, il principale oppositore dell’autocrate, assassinato davanti al Cremlino cinque anni fa.

Navalny ha dalla sua una straordinaria tenacia e un coraggio senza pari: Il suo rientro volontario in Russia lo scorso 17 gennaio costituisce la sfida più insidiosa per Putin, la cui popolarità, complice il crollo del greggio, è in caduta libera. Le immagini che Navalny ha postato su Youtube del gigantesco palazzo che lo ‘zar’ si è da poco fatto costruire sul Mar Nero sono state viste da 100 milioni di russi, mentre la sua piattaforma RosPil denuncia la sistematica corruzione dei nuovi oligarchi putiniani. L’Europa, forte dei nuovi orientamenti dell’amministrazione Biden, non intende stare a guardare. La Russia dopo la guerra in Georgia nel 2008 e l’annessione della Crimea nel 2014, per Bruxelles non può più agire nell’impunità. L’espulsione da Mosca di tre diplomatici europei non fa che gettare olio sul fuoco. Washington spinge per ulteriori sanzioni e nel mirino vi è un grosso obiettivo: Il gasdotto Nord Stream II, che dovrebbe trasportare il gas dalla Russia alla Germania, attraverso il Mar Baltico. Per completarlo mancano 150 dei 1230 chilometri. Un progetto da dieci miliardi di dollari che renderebbe l’Europa ancor più dipendente da Mosca e che farebbe concorrenza… al gas liquido made in Usa. L’‘affaire’ Navalny inserisce così la componente diritti umani in una battaglia geopolitica che ci fa tornare ai tempi della guerra fredda.

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