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Aiuti Covid, manca il coraggio politico

I 75 milioni di franchi votati dal Gran Consiglio per sostenere le Pmi probabilmente non saranno sufficienti

Bar e ristoranti in ‘lockdown’ (archivio Ti-Press)
26 gennaio 2021
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Erano attesi e finalmente il Gran Consiglio ha dato il via libera a uno dei due crediti per tentare di tappare le conseguenze economiche della pandemia di coronavirus: quello da oltre 75 milioni di franchi per i cosiddetti casi di rigore (per le imprese costrette a chiudere o che hanno visto calare la cifra d’affari in modo importante). L’altro, da poco più di 8 milioni di franchi., va a complemento del sistema di sicurezza sociale destinato alle persone. Quest’ultimo verrà approvato verosimilmente nel corso della sessione. Già nelle settimane scorse, all’indomani della decisione del consiglio federale di destinare 2,5 miliardi di franchi – un terzo dei quali a carico dei cantoni – era apparso chiaro che questi fondi non sarebbero stati sufficienti per colmare tutti i costi scoperti sopportati dalle imprese in questo ultimo anno veramente eccezionale da tutti i punti di vista.

Nel marzo dello scorso anno, quando per la prima volta in tempo di pace, fu decretata la chiusura per quasi sei settimane di gran parte delle attività economiche, la parola d’ordine del consiglio di Stato, oltre a ‘unità’, fu: ‘nessuno sarà lasciato solo’. Si fece così intendere che l’ente pubblico sarebbe intervenuto per parare il fendente che si stava per abbattere su imprese e cittadini incolpevoli di fronte a un evento di portata globale. Interventismo pubblico in economia necessario per cercare di evitare un crollo della domanda e quindi per evitare di accelerare la spirale recessiva che - comunque la si veda - la crisi sanitaria ha innescato.

La risposta, almeno a livello federale, la scorsa primavera fu praticamente immediata con un programma miliardario di crediti agevolati a favore delle imprese e l’allargamento dei beneficiari sia delle indennità per lavoro ridotto, per quanto riguarda i lavoratori dipendenti, sia per le indennità perdita di guadagno per i titolari delle imprese. Per lo sport professionistico e il mondo culturale valgono altre misure non contemplate dalle norme sui cosiddetti casi di rigore. La logica degli aiuti pubblici è quindi chiara: prestiti in gran parte garantiti per le aziende e sostegno diretto ai redditi, siano questi da lavoro dipendente o autonomo. 

Le maglie della rete di protezione così pensata risultano però ancora troppo larghe, tanto che quel ‘nessuno sarà lasciato da solo’ rischiava di essere lettera morta. Da qui l’esigenza di dare risposte più concrete a tutti gli operatori economici toccati duramente dai provvedimenti di chiusura. Eppure, nonostante i quasi 75 milioni votati, che potrebbero diventare quasi 110 con ulteriori fondi che dovrebbero – forse – arrivare da Berna, le maglie resteranno ancora ampie. Il Ticino, rispetto ad altri Cantoni, pur avendo cercato di fare i compiti assegnati da Berna al meglio, a una prima impressione appare in ritardo e con una dotazione finanziaria insufficiente per coprire le esigenze di quasi 5 mila aziende potenzialmente beneficiarie. Ma il peccato originale sta oltre San Gottardo. Fin da quando si è incominciato a parlare di casi di rigore, i 2,5 miliardi sono apparsi una cifra modesta sia per un aiuto concreto, sia per rassicurare veramente il mondo imprenditoriale. Sarebbe stato ben diverso se due settimane fa il responsabile federale delle finanze Ueli Maurer, più che cercare di rassicurare timidamente dicendo di essere pronto – in caso di bisogno – a presentare ulteriori crediti, fosse arrivato di fronte al paese con un importo raddoppiato. Nessuno, a ogni modo, vieta al consiglio di Stato di andare oltre il sostegno previsto da Berna. Ma il coraggio politico sembra mancare anche a Sud delle Alpi.

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