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Passaporto vaccinale, per ora di necessario c’è il dibattito

Per Manuele Bertoli è urgente introdurre un lasciapassare immunologico per il Covid. Ma ci sono controindicazioni pratiche ed etiche

Serve un quadro normativo chiaro, meglio se internazionale (Foto Frauke Riether/Pixabay )
20 gennaio 2021
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Il passaporto vaccinale sarebbe “necessario e urgente”, ha scritto ieri il consigliere di Stato Manuele Bertoli. Necessario e urgente è certamente un dibattito pubblico sul tema; che lo sia anche l’introduzione di questo lasciapassare è tuttavia meno scontato perché, oltre ai solidi argomenti introdotti da Bertoli, ve ne sono altri di carattere pratico ed etico che impongono qualche cautela.

Iniziamo col notare che ci sono ancora incertezze sul tipo e la durata dell’immunità dato dal vaccino: quanto a lungo si è protetti? Col vaccino si riduce solo la possibilità di ammalarsi o anche quella di contagiarsi e contagiare? Certo, sono dubbi che presto dovremmo riuscire a risolvere, ma cosa fare se l’immunità sterilizzante – così si chiama quando si ferma la trasmissione del virus – fosse solo parziale? Un problema serio, soprattutto se come suggerisce Bertoli il passaporto vaccinale andrà rilasciato anche a chi non può farsi vaccinare per ragioni mediche, verosimilmente persone particolarmente vulnerabili. Altro problema di carattere pratico: il passaporto andrà rilasciato solo a chi si vaccina (o vorrebbe ma non può) o anche a chi si è ammalato ed è guarito e ha probabilmente sviluppato un’immunità naturale?
Ci limitiamo ad accennare ai problemi relativi alla protezione dei dati, perché per il tipo di impiego che si immagina la tradizionale “tessera gialla” (il Certificato internazionale di vaccinazione o profilassi necessario per viaggiare in alcuni Paesi) è certo inadatta. Sono già disponibili soluzioni elettroniche, ma visto che i dati saranno accessibili anche a privati una certa cautela è d’obbligo.

Veniamo ai problemi etici. Bertoli afferma giustamente che “la libertà di alcuni” di non vaccinarsi non può valere di più “di quella di tutti gli altri che chiedono condizioni sanitarie sicure”. Verissimo; solo che è vero anche il contrario, nel senso che di fronte a un conflitto tra diritti occorre trovare un compromesso che ‘comprima’ senza cancellare del tutto i diritti di nessuno. Il passaporto vaccinale, con l’impossibilità di accedere a certi eventi o servizi, è un bilanciamento accettabile? Certo come dice Bertoli “andare a vedere una partita di calcio o un film al cinema non è obbligatorio”, ma questi mesi di misure restrittive hanno dimostrato a tutti quanto sia difficile rinunciare a tutto quello che non è “di prima necessità”. Per continuare a imporre simili limitazioni a una parte, per quanto piccola, della cittadinanza non basta un rischio generico o ipotetico per la salute pubblica. Dobbiamo confrontare le eventuali limitazioni per i non vaccinati non alle libertà di prima della pandemia, ma alle misure sanitarie che si sono rese necessarie per contenere i contagi. Detta altrimenti: possiamo pensare a un allentamento anticipato delle restrizioni per i vaccinati (se scientificamente giustificato), non a limitazioni prolungate per i non vaccinati che avrebbero più che altro lo scopo di incentivare la vaccinazione. Il che rende l’introduzione di questo passaporto vaccinale una sorta di rebus difficile da risolvere: ha senso richiederlo quando i vaccini non sono ancora disponibili per tutta la popolazione? D’altra parte, avrà senso mantenerlo quando, grazie alla disponibilità dei vaccini, si spera che la pandemia sarà sotto controllo?

Serve, su questo Bertoli ha pienamente ragione, un quadro normativo chiaro, meglio se internazionale; ma in primo luogo per evitare abusi.

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