Commento

Riscoprire fiducia e sobrietà

'In questo momento incerto, mai è apparso con tale evidenza che è la sfiducia il vero elemento tossico della società'

14 novembre 2020
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Ci sono parole che sembravano in disuso ma che di questi tempi affiorano come stati di necessità.

Fiducia, ad esempio. Che è una forza discreta e misteriosa, un segno di fede nell’avvenire, un ingrediente indispensabile alla vita sociale. Un grande economista, premio Nobel (Kenneth Arrow), la definiva “istituzione invisibile”, con il potere di nutrire e sostenere la sociabilità umana, al centro di ogni contratto sociale. Questo prezioso alimento politico ed economico è diventato sempre più raro, tanto che altri economisti (Algan, Cahuc) hanno scritto che siamo nella “società della sfiducia”. Dalla fiducia di prossimità che reggeva un tempo le nostre comunità circoscritte, si è passati con le società aperte e globalizzate ad una fiducia astratta, lontana anche nelle istituzioni. Dall’inizio degli anni Duemila è la sfiducia che nutre le forze populiste o i movimenti e partiti antisistema. Eppure senza la fiducia non porteresti i tuoi risparmi in banca, non metteresti nelle mani di pochi eletti il destino politico del tuo Paese, non ti rivolgeresti ai magistrati per ottenere giustizia, non ricorreresti al medico per riavere la salute. Dare fiducia è anche scommettere, in un mondo incerto, che tutti finiranno per avere un comportamento collaborativo. In questo particolare momento, dove si è pronti in mille modi a distribuire patenti di inettitudine all’autorità politica o di confusione o di terrorismo e di ignoranza agli esperti o persino ai giornalisti che riportano fatti, la fiducia non è mai apparsa così vitale per ognuno e per la comunità. Mai è apparso con tale evidenza che è la sfiducia il vero elemento tossico della società.

Sobrietà, ad esempio. C’è chi ha trovato che la decrescita impostaci (in termini di minore prodotto interno lordo) è uno scossone salutare all’utopia della crescita senza limiti e può essere l’occasione salutare per risistemarci modo di pensare e di essere. Se c’è poco da ritenere che siamo arrivati a tanto acume (basterebbe considerare le contrapposizioni tra difesa della salute ed economia) non si può ignorare che la sobrietà sia emersa perlomeno come necessità logica. Attanagliati in un’economia in cui la condizione per esistere è il sempre maggior consumo, la sobrietà è diventata un non-senso. Mentre il maggior consumo è diventato una sorta di obbligo etico che si traduce in sviluppo umano, benessere per tutti, creazione di lavoro e reddito da spendere. Tanto da rendere etico anche il super indebitamento. Sobrietà è invece moderazione, essenzialità, semplicità e si raffigura con uno stile di vita che rifugge dall’eccesso o dal superfluo, che tien conto della condizione dell’altro e dell’uso della natura. Forse per questo è percepita come pena, martirio fuori tempo, stravaganza per pochi. La crisi che stiamo vivendo, facendoci ripescare la sobrietà (che non va confusa con la povertà), forse è riuscita a dimostrarci che ci sono anche brutte conseguenze nella coppia formata dalla dismisura e dal mal-essere. La sobrietà (la cui etimologia deriva da “non-ebbro”) può diventare allora libertà di scegliere la propria vita senza lasciarsela imporre.

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