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Chiesa, due atout. Per ora poco altro

Il 45enne luganese è stato eletto ieri alla testa del primo partito svizzero. Per farsi valere Oltralpe, non dovrà soltanto migliorare il suo tedesco.

Chiesa (sin.) e Rösti
(Keystone)
24 agosto 2020
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Marco Chiesa è stato eletto sabato presidente dell’Udc svizzera. Sono due in fondo gli atout che lo rendono prezioso per il suo partito: avere tempo ed essere ticinese. Non proprio quel che serve per nutrire grandi aspettative. Ma nemmeno così poco da precludergli d’emblée la possibilità di diventare un buon successore di Albert Rösti e Toni Brunner.

Il 45enne consigliere agli Stati luganese, padre di due figli già in età scolare e ormai libero da impegni professionali, potrà d’ora in poi dedicarsi quanto vorrà alla politica e ad una carica che richiede una disponibilità pressoché al 100%. Chiesa approfitterà del capitale di simpatia e benevolenza di cui i ticinesi godono automaticamente Oltralpe. E col suo primo presidente ‘latino’, l’Udc potrà presentarsi come un partito davvero nazionale, non solo svizzero-tedesco. Non è poco: è in Romandia e in Ticino che l’ex partito agrario – confrontato con un’erosione di consensi soprattutto nelle zone urbane e periurbane della Svizzera tedesca – sembrerebbe avere il maggior potenziale di crescita.
L’Udc guadagna anche qualcos’altro: una certa attenzione per i temi sociali. In questi giorni si è sentito Chiesa – presidente di Soccorso d’inverno Ticino – dire quanto lo preoccupino le difficoltà finanziarie di molte famiglie ticinesi. Forse un giorno spiegherà come si concilia questa preoccupazione con i ripetuti attacchi del suo partito all’aiuto sociale e al forfait di mantenimento, che consente ai più bisognosi (anche a quei ‘residenti’ tanto cari ai democentristi) di restare a galla. Ad ogni modo, è apprezzabile che l’Udc si doti di un presidente con una ‘sensibilità sociale’. Finora su questo fronte ha brillato per la sua assenza, incapace di articolare valide proposte per garantire un futuro alle assicurazioni sociali o rispondere alle esigenze in fatto di socialità di una popolazione sempre più urbana. Una latitanza che il primo partito svizzero non può più permettersi.
Tutto questo però non basta. Per fare bene il mestiere di presidente dell’Udc ci vuole altro. Certo: non parliamo di un partito ’normale’. Chi lo guida è destinato tutt’al più a porre qualche accento più o meno estemporaneo, non a lasciare una vera e propria impronta (com’è il caso di Petra Gössi, che ha fortemente voluto la svolta energetica nel Plr; oppure di Gerhard Pfister, che ha dato l’impulso per un dibattito di fondo sul futuro del Ppd). E nell’Udc che conosciamo sono sempre stati Christoph Blocher e i suoi fedelissimi a dettare la linea.
Anche le formazioni politiche più conservatrici però evolvono, si adeguano bene o male ai tempi: “L’Udc non è più l’Udc di Blocher, ma non è nemmeno ancora l’Udc senza Blocher” (‘Nzz am Sonntag’). Il comando non è più concentrato in poche, note mani. Altri centri di potere si sono sviluppati negli anni, guadagnando terreno nelle istituzioni e quindi influenza in seno al partito. Quali accenti sarà in grado di porre Marco Chiesa – vicino al clan Blocher – in questa Udc in transizione, resta da vedere. Una cosa è certa: per farsi valere Oltralpe, al ticinese non occorrerà solo migliorare il tedesco. Dovrà pure ampliare gli orizzonti tematici e padroneggiare dossier complessi che ha soltanto sfiorato nella sua – sin qui assai discreta – attività di parlamentare. Sarà, poi, il motivatore, l’uomo di polso che il partito cercava per galvanizzare le sue stanche truppe e mettere in riga le sezioni indisciplinate, colpevoli designate della débâcle alle ultime ‘federali’? Vedremo.

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