Commento

La voce da tenore e quella da bischero

Andrea Bocelli 'umiliato e offeso' dal lockdown. Al prossimo concerto, vada a spiegarlo a bresciani e bergamaschi.

'Non sono un negazionista, sono un ottimista' (Keystone)
28 luglio 2020
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In inglese è “shitstorm”. In italiano è più o meno “tempesta di sterco”. È, parafrasando Battiato, quel sentimento popolare che non nasce certo da meccaniche divine e si scatena sui social quando qualcuno fa il ‘bischero’, ovvero “persona ingenua cui manca qualche venerdì, che si crede furba e invece si rivela essere stupidotta” (da uno dei tanti siti della toscanità nel mondo). Siffatta tempesta si sta abbattendo su Andrea Bocelli da quando il tenore – ospite del convegno "Covid-19 in Italia, tra informazione scienza e diritti”, nella biblioteca del Senato della Repubblica italiana – ha detto la sua sulla “cosiddetta pandemia” (ipse dixit).

Accade di lunedì 27 luglio: premettendo di parlare “lontano dalla politica”, ma giusto davanti a Matteo Salvini in prima fila, mattatore di un incontro organizzato dal leghista Armando Siri e da Vittorio Sgarbi, Bocelli riferisce di essersi sentito (durante il lockdown) “umiliato e offeso” perché “privato della libertà di uscire di casa senza aver commesso crimine alcuno”, una volta preso atto che “le cose non erano così come ci venivano raccontate”. E confessa l’avere “disobbedito volontariamente a questo divieto” in quanto “non giusto e non salutare rimanere in casa, ho una certa età e ho bisogno che il sole trasformi la vitamina D in quello che deve diventare”. Quanto sopra potrebbe pure non suonare sufficientemente negazionista se al complessivo virgolettato non si fosse aggiunto anche un “Io che conosco tanta gente, non conoscevo nessuno che fosse finito in terapia intensiva. Nessuno. E allora, tutta questa gravità?”.

Al netto dei leoni da tastiera anonimi, a cantarle al cantante in queste ore è soprattutto un popolo composto che ci mette nome, cognome e faccia. Dalla punteggiatura e dall’ortografia sembrano pacifisti del web che sino ad oggi gli esprimevano stima, o anche solo like convinti. È il popolo disorientato dal ricordo della diretta tv dal Duomo di Milano deserto, il giorno di Pasqua (“Chieda perdono, per le sue pessime frasi, a coloro che hanno avuto distrutta la famiglia. Chieda perdono la prossima volta che intonerà un’Ave Maria”), disorientato anche dal denaro raccolto con l’Andrea Bocelli Foundation, dal plasma donato in prima persona, dall’essere stato contagiato e guarito, sempre in prima persona. A parte riciclare i fiori regalatigli da Pavarotti per fare un regalo allo stesso Pavarotti (“Tanto secondo te si accorge di quelli che gli comprano?”, disse un giorno a New York all’ex-manager Michele Torpedine, che riporta l’aneddoto nella relativa autobiografia), il Bocelli filantropo e benefattore è sempre viaggiato a fianco dell’artista.

Dal polverone sollevatosi è nato il #boicottbocelli. E in mezzo all’ironia di chi dà la colpa alla Toscana (“Dev’essere l’aria”), di chi gli tiene la parte (“È come l’Australia, non esiste. È una truffa delle lobby delle mappe e dei mappamondi”) e di chi produce sillogismi di ritorno (“Non ho mai conosciuto un ebreo, quindi l’Olocausto non esiste”), c’è chi ne brucia i dischi come libri di Rushdie, chi chiede che non canti più l’inno di Mameli e chi gli fa notare che c’è chi ha trascorso la quarantena in settanta metri quadri, meno della superficie calpestabile della villa del tenore, nella tenuta da 140 ettari a Forte dei Marmi, con affaccio sul mare e spiaggia privata. C’è poi la scuola di pensiero “Te babbo pensa alla Tosca e alla Butterlfy, che i virus non sai cosa sono”, corrente che si rifà ai (testuali) consigli dati al cantante, invano, dai rispettivi figli prima di aprire bocca in Senato. La caduta di stile è occasione ghiotta anche per i pavarottiani, quelli che all’espressione “Bocelli è l’erede di Pavarotti” inorridiscono come ci s’inorridiva per “I Duran Duran sono nuovi Beatles”. Tra i nostalgici di Big Luciano, su facebook, il #boicottbocelli Award va al signor Marco Brutti: “E comunque, quella brava in ‘Vivo per lei’ era Giorgia”.

A chi lo invita a trasferirsi in Brasile, a chi gli chiede “A quando un live alle sorgenti del Po?”, con esplicito riferimento all’ampolla, così si giustifica Bocelli il giorno dopo: “Non sono un negazionista, sono un ottimista”, sostenendo indirettamente l’esistenza dei soli negazionisti pessimisti (a tavola, invece, i negazionisti ottimisti possono essere molto di compagnia). E tentando di rattoppare, allarga il buco: “Sono stato un po’ frainteso”, aggiunge, statement che riporta in vita il miglior Berlusconi, vero re della toppa (nessuna ironia, con una sola ‘p’). Per convincerci tutti del fraintendimento, al tenore non resterebbe che provare ad aprire il prossimo concerto di Bergamo, o di Brescia, con un “Buonasera: e allora, tutta questa gravità?”. Ma potrebbero non essere applausi. 

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