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Chiara Ferragni, gli Uffizi e la banalità dell’influencer

Le polemiche per la visita della celebrità italiana agli Uffizi sono un rassicurante ritorno alla normalità. E alla miopia di certe istituzioni

Chiara Ferragni Botticelli (www.instagram.com/uffizigalleries/)
25 luglio 2020
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C’è qualcosa di rassicurante, nella polemica Chiara Ferragni/Uffizi che ha tenuto banco negli scorsi giorni. Rassicurante perché le accese discussioni nate da una visita “in solitaria” della influencer al museo fiorentino – legata a un servizio fotografico per ‘Vogue’ – e relativa eco sui social media testimoniano, a loro modo, un ritorno alla normalità: se possiamo litigare sull’opportunità di accostare la Venere di Botticelli a una donna che ha saputo trasformare i social media in un redditizio mestiere, vuol dire che, almeno a livello mediatico, stiamo iniziando a lasciarci alle spalle la pandemia.
Certo, è una normalità di cui in molti avrebbero volentieri fatto a meno, con l’inconcludente polarizzazione tra chi attacca in maniera pretestuosa e spesso verbalmente violenta Chiara Ferragni per aver osato avvicinarsi al sacro mondo dell’arte e chi invece, con argomenti altrettanto poco convincenti, esalta l’iniziativa di marketing degli Uffizi che con un post su Instagram avrebbe attirato i giovani visitatori (il condizionale in quanto non si hanno dati ufficiali ma solo una dichiarazione del direttore Eike Schmidt sulla quale varrà la pena tornare).
La polarizzazione, il “o sei contro o sei a favore”, è una modalità della mente umana la cui diffusione certo non si limita ai social media ma vi trova terreno fertile: non stupisce quindi che l’immagine dell’influencer in pantaloncini e top bianco (addirittura con ombelico scoperto!) abbia dato il via alla polemica. Gestita peraltro bene da Chiara Ferragni, da sempre attenta a evitare le discussioni tossiche – sarebbe bello se i politici attivi sui social media avessero la stessa cura. Proviamo tuttavia a uscire da questa polarizzazione, iniziando con il riconoscere che Chiara Ferragni è un’imprenditrice di successo, anche se in un mondo che – per questioni anagrafiche e di sensibilità – parte della popolazione fatica a comprendere. Un’imprenditrice e una celebrità che è normale utilizzi un museo come ‘location’: capita di continuo, a vantaggio di tutti; e il fatto che ciò non avvenga durante l’usale orario di apertura, più che una cortesia verso la celebrità, è a tutela del pubblico che si presume visiti il museo per le opere d’arte, non per ritrovarsi invischiata in un set fotografico. E normale è anche che Chiara Ferragni documenti la visita in solitaria con un post su Instagram nel quale, con studiata naturalezza, consiglia di visitare “one of the most special [museums] in the world” (in inglese, perché il suo pubblico è internazionale).
Solo che gli Uffizi non si sono limitati a questa pubblicità gratuita sul seguitissimo profilo di Chiara Ferragni e hanno voluto rilanciare la visita sui propri canali, con un’operazione un po’ maldestra, per stile e contenuto (ma va riconosciuto che gestire l’identità “social” di un’istituzione, soprattutto se prestigiosa come gli Uffizi, è cosa complessa). E poi è arrivata la difesa del direttore Schmidt, basata unicamente sul numero di like ricevuti e di biglietti staccati. E giustificare la propria strategia comunicativa semplicemente su questi due parametri è indegno – per un museo come per un qualunque influencer o aspirante tale.

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