Commento

Essere il paese dei filantropi è rischioso

Sì se c'è un uso improprio del dono e se c'è filantropia interessata, politicizzata, fiscalmente liberatoria...

9 luglio 2020
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Non si chiede mai a chi riceve una rendita se ne ha bisogno o no, dice Blocher. È un diritto. Ha ragione. Lui, di quei milioni che ora chiede alla Confederazione, non ha comunque bisogno. Non vuol lasciarli all’ente pubblico perché li spenderebbe male. La domanda di riserva è quindi un’altra: che ne farà dunque? Impertinente anche quella. Si dice che fosse solo per salvarsi dalle ironie piovutegli addosso dai vignettisti, li verserà in una fondazione. Una esisterebbe già, su sua misura (Stiftung für bürgerliche Politik, che finanzia le campagne dell’Udc) e saprebbe come finiscono meglio i suoi soldi. Forse meglio un’altra, culturale o benefica, per immagine o per altro, com’è nella prassi tipicamente elvetica. Blocher diventa allora per noi un pretesto per parlarne, di questa singolarità.

La Svizzera è un paese dove fioriscono i filantropi. Lo dimostrava un rapporto di qualche anno fa sulle fondazioni pubblicato da SwissFoundation e dall’Università di Zurigo. Ogni giorno si crea almeno una fondazione «con scopo di utilità pubblica». La Svizzera è così uno dei paesi con la più alta densità di fondazioni filantropiche, una ogni 600 abitanti. Secondo un altro studio del ‘Center of Philanthopy Studies’, le fondazioni svizzere dispongono di un patrimonio superiore ai 70 miliardi di franchi. La decima del pil. Oltre la metà svolgono un’«azione sociale», ma operano pure nella formazione e ricerca e nello svago e nella cultura.

Come spiegare un successo del genere? Probabilmente proprio con i milionari, alla Blocher, mossi da generosità, patriottismo, qualche senso di colpa, avversione allo Stato che spende male i soldi. Può essere vero: in fondo abbiamo più milionari (350mila) che persone in assistenza sociale. Si deve però anche ammettere che il diritto delle fondazioni, in Svizzera, è facile, flessibile e gli incentivi fiscali aiutano. Per la legge federale, ad esempio, i doni sono deducibili dall’imposta sino a concorrenza del 20 per cento dei redditi, sia per le persone fisiche sia per quelle giuridiche. Rapportati a milioni, sono un buon taglio e un affare.

Alexandre Lambelet, professore alla Haute école de travail social et de la santé di Losanna, autore di un libro intitolato «La philanthropie» edito da SciencesPo, se ne è occupato. Non arriva a dire che la filantropia non sia utile e generosa. Sostiene però che può essere contestataria. Infatti, rimette in discussione il senso, i mezzi ed anche la legittimità delle politiche pubbliche e tende a dimostrare che le organizzazioni filantropiche spendono meglio e più efficacemente degli enti pubblici. Oppure che la logica del mercato, se lasciata fare e sgravata dal fisco, risolve meglio i problemi sociali. La filantropia tenderebbe in pratica a fare una «privatizzazione» delle politiche assegnate alle autorità pubbliche, nazionali o locali.

Ci sono innegabilmente due grossi rischi. L’uno sta nell’uso improprio del dono, atto umano per eccellenza; l’altro nella dissimulazione di un obbligo umano, civile, pubblico, ricorrendo alla filantropia interessata, politicizzata, fiscalmente liberatoria. È il famoso date che in qualche modo vi sarà ridato.


 

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