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Quei sondaggi contro Donald Trump

Forse Joe Biden ha sfoderato l’arma vincente. Lasciare che sia il rivale Donald Trump a rovinarsi con le sue mani.

keystone
22 giugno 2020
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Forse Joe Biden ha sfoderato l’arma vincente. Parlare il meno possibile, procedere sull’onda degli eventi, spiegare poco o nulla del suo programma, evitare un’acrobatica sintesi delle posizioni radicalmente contrapposte che lacerano il suo campo. Insomma, lasciare che sia il rivale Donald Trump a rovinarsi con le sue mani. Questo dicono in sostanza i sondaggi a quattro mesi dal voto per la Casa Bianca. Che, unanimemente, danno dai sette ai dieci punti di vantaggio al candidato democratico, pronosticando una sorta di miracolo, una riedizione della spettacolare rimonta che nel 1948 confermò presidente Harry Truman. Ci voleva un Trump in ‘gran forma’ per gonfiare le vele pre-elettorali di un Joe Biden comunque svilito dalla vicenda ucraina (gli spregiudicati affari petroliferi del figlio nell’ex repubblica sovietica), messo inizialmente all’angolo dagli esponenti radicali del partito, e figura quasi fotocopia di Hillary Clinton, che nel novembre 2016 fu un bersaglio pressoché perfetto per la sguaiata sfida populista e anti élite del ‘tycoon’, che poi imbottì l’amministrazione di finanzieri miliardari.

Certo, c’è stato il Covid-19 a tramortire un’economia dopata da una delle più inique riforme fiscali della storia americana, sfacciatamente favorevole al grande capitale, e da uno spettacolare debito pubblico, che ai tempi di Obama i guardiani del tempio repubblicani combattevano ferocemente. La pandemia è stata affrontata dal capo della Casa Bianca con una presuntuosa disinvoltura, a conferma, con i vari Bolsonaro e Johnson, che non è il nativismo-nazionalista ad avere le ricette migliori. Ed il prezzo è altissimo. Con i consigli presidenziali allucinanti, come quello iniettarsi disinfettanti nelle vene per eliminare il virus.

Poi, in rapida successione: l’esplodere della tragedia razziale, che sta ancora scuotendo il Paese, e che il presidente ha affrontato con la tattica che conosce meglio, quella di dividere la nazione non ammettendo i problemi storico-sociali che originano il dramma; la ribellione dei generali del Pentagono pubblicamente contrari al ricorso all’esercito per fermare i manifestanti (in stragrande maggioranza pacifici); la contestazione di esponenti del Partito repubblicano, in testa W. Bush, che invitano a non votare Trump, organizzando invece una raccolta fondi per l’ex vice di Obama; i social media (da Twitter a Facebook, suoi bazooka preferiti) che finalmente denunciano le falsità e gli appelli eticamente riprovevoli del presidente; fino alla sentenza della Corte Suprema, che ha dovuto autorizzare la pubblicazione del libro del ‘falco’ John Bolton, suo ex consigliere per la Sicurezza, che racconta come Trump abbia cercato persino l’appoggio della nemica Cina per farsi rieleggere, e lo considera ‘inadeguato a governare’.

Intendiamoci, i sondaggi valgono quel che valgono, dalla sua Trump può avere ancora la capacità dei colpi di scena, un rivale assai poco combattivo, un virus che sta allentando la presa, una parte d’America nativista che lo voterebbe qualunque cosa decidesse, un sistema elettorale obsoleto che consente a una manciata di Stati di consegnargli ancora la vittoria, e una tradizione che storicamente premia i presidenti in carica. Rimane dunque da sperare che continui ad essere ‘in gran forma’.

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