Commento

Biden e Sanders, due opzioni un po’ deboli (almeno per ora)

L’ex vice di Obama potrebbe essere la scelta migliore per convincere gli indecisi, purché non s’illuda di dover parlare a tutti e a nessuno

4 marzo 2020
|

Gli Americani lo chiamano ageism: è quella forma di discriminazione che fa degli anziani le sue vittime. E davvero, sarebbe piuttosto abietto prendersela con i due candidati democratici rimasti in piedi dopo il Super Tuesday – Bernie Sanders e Joe Biden – solo perché sono nati entrambi quando ancora c’era al potere Roosevelt. Così come è sciocco farlo perché sono due uomini bianchi in un paese sempre più variegato sul piano etnico e demografico (conta anche quello, ma è il risultato e non la causa di squilibri secolari). Resta semmai la delusione di rimanere davanti a una certa canizie delle idee.

Da una parte c’è Sanders, corpo estraneo al partito democratico, il cui atteggiamento da outsider scimmiotta i vecchi stilemi della sinistra da campus universitario: se non la pensi come me sei un borghese, un venduto, uno dell’establishment. Il tipo di atteggiamento che ti fa litigare con tutti, come puntualmente ha fatto ‘the Bern’ perfino con la candidata a lui più vicina, un’Elizabeth Warren ormai fuori dai giochi. Viene in mente Groucho Marx: “Non vorrei mai far parte di un club che accettasse fra i suoi membri uno come me”. Dall’altra parte c’è il numero due per eccellenza, quel Biden col quale la vicepresidenza americana era tornata a contare poco o nulla, sotto l’ombra imponente di Obama e dopo i feroci anni del Richelieu Dick Cheney; e che spesso in passato si è adagiato in una moderazione afasica e nell’ossequio alle vecchie logiche del partito.

Uno dei due dovrà cercare di scalzare Donald Trump, che si porta in dote lo storico vantaggio concesso dagli elettori all’uscente, con tutta la visibilità che ne consegue. Svanita la freschezza di Amy Klobuchar e Pete Buttigieg – promettenti, ma vai a sapere – resta il classico carrello dei bolliti. Però sarebbe sbagliato pensare che uno vale l’altro, o che le nostre illusioni di chissà quale rinnovamento sarebbero state premiate a novembre, fosse arrivato al traguardo qualcun altro. Dopo tutto la Casa Bianca si giocherà su pochi indecisi in stati per i quali la cosa più spaventosa è proprio il cambiamento: “Nel famoso slogan di Trump, ‘Make America Great Again’, la parola chiave è again: facciamo tornare l’America com’era prima”. Lo spiega nel suo bellissimo ‘Questa è l’America’ Francesco Costa. Da questo punto di vista, anche se è vero che gli Stati Uniti sono sempre meno simili ai loro candidati, il migliore per sfidare Trump potrebbe essere Joe Biden, peraltro ormai favorito; martedì ha dimostrato di saper parlare a ricchi e poveri, élite e minoranze, nord e sud, ex rivali sconfitti.

Attenzione, però. Il messaggio di Sleepy Joe, “curare l’America”, ha vinto in seno ai sostenitori del partito e dovrebbe spaventare meno del fiero “socialismo” di Sanders anche tutti gli altri, o almeno molti di quelli per i quali la priorità è liberarsi di Trump. Ma non sarà così se questa capacità ecumenica si rivelerà strada facendo quel che è già stata negli scorsi anni: una mormorata narrazione del “non solo ma anche”, del cerchio e della botte, basata sull’illusione che per convincere tutti sia meglio non parlare a nessuno. La vittoria di Obama dimostra che si può essere molto profilati e innovativi (cosa che Biden ancora non è, come non lo fu Hillary Clinton) anche senza prendere troppo di petto il paese (come fa Sanders). Vedremo, tanto più che la strada è lunga e piena di sorprese. Ora l’importante è che chiunque vinca le primarie abbia dietro il peso di tutto il partito, e che gli sconfitti non se ne vadano prima di novembre sbattendo la porta. Ovvero spalancandola a Trump.

Resta connesso con la tua comunità leggendo laRegione: ora siamo anche su Whatsapp! Clicca qui e ricorda di attivare le notifiche 🔔
POTREBBE INTERESSARTI ANCHE